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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2013 alle ore 09:01.

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Due magistrati depongono sulla cattura di Provenzano mentre a Reggio si mischiano le carte

La morte dei due Carabinieri a Reggio, le dichiarazioni riportate da Spatuzza e attribuite a Graviano si legano indirettamente al pentito Lo Giudice, ai suoi sodali e alla stagione delle bombe (volontariamente senza vittime e vale la pena sottolinearlo molte volte) di Reggio a cavallo tra il 2 gennaio e il 5 ottobre 2010.

L'11 aprile 2012 Antonio Cortese, uno degli uomini che avrebbero messo la bomba rudimentale esplosa nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 2010 presso la Procura generale di Reggio Calabria, viene interrogato presso la Guardia di finanza di Villa San Giovanni dal procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia Gianfranco Donadio. Sul colloquio investigativo riserbo assoluto ma a quel che si sa è che sarebbe stato lo stesso Nino Lo Giudice a fare a Donadio il nome di Cortese come soggetto d'interesse. Chissà, a Cosa nostra un bombarolo in più, uno in memo, potevano comunque far comodo nel periodo stragista.

Forse la Dna va alla ricerca di chi in quella stagione potesse aver contribuito alla strategia del terrore di qua e di là dello Stretto. Donadio, sentito dal Sole-24 Ore, non pronuncia una sola parola di commento che sia una. Fatto sta che la strategia delle stragi, va ripetuto, non è propria della ‘ndrangheta, come ebbe modo di ribadire recentemente anche il pentito Nino Fiume.

Il memoriale di Lo Giudice
L'ultimo tassello, solo al momento, del quale, inevitabilmente, dovrà prendere atto la Procura di Palermo, è il memoriale di Nino Lo Giudice. Chi è costui? Affiliato ad una cosca da anni senza arte né parte di cui lui stesso ora nega l'esistenza, detto il "nano", si era pentito il 15 ottobre 2010, 8 giorni dopo essere stato arrestato, accusando se stesso, oltre ad alcuni complici, di essere l'autore della bomba messa alla Procura generale di Reggio Calabria nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 2010 , di quella piazzata e fatta esplodere nell'androne di casa del Procuratore generale Salvatore Di Landro il 26 agosto dello stesso anno, oltre che del bazooka fatto ritrovare due mesi dopo davanti alla sede del Tribunale il 5 ottobre 2010.

Dalle sue confessioni – ritenute altamente inattendibili dal procuratore di Reggio Calabria Di Landro non più tardi di qualche giorno fa, alla notizia della sua scomparsa dal luogo segreto in cui era sottoposto ai domiciliari dove scontava una pena di 6 anni e 4 mesi – erano scaturite, come in una sorta di gemmazione giudiziaria, una serie di procedimenti anche nei confronti di magistrati antimafia. Come quello che ha colpito l'ex numero 2 della Dna, Alberto Cisterna, che era stato accusato di corruzione in atti giudiziari, salvo poi vedersi anni due anni dopo archiviare l'accusa mentre nel frattempo la sua carriera era stata distrutta e la sua immagine di Servitore dello Stato massacrata.

Lo Giudice che avrebbe dovuto testimoniare nell'ennesimo processo ma già dalle 36 ore precedenti non si avevano più sue notizie, è scomparso da Macerata, nonostante il Nucleo operativo dei pentiti (Nop) del Viminale lo tenesse sotto controllo insieme alla sua compagna.

Sei giorni fa doppio colpo di scena: prima una lettera-memoriale e una sim card fatte giungere al Tribunale di Reggio Calabria nel corso del quale si svolgeva l'udienza del processo Meta, con la pubblica accusa sostenuta dal pm Giuseppe Lombardo e poi un altro memoriale (verosimilmente uguale al primo) oltre ad una cassetta filmata e una registrata, fatte giungere in mattinata all'avvocato Giuseppe Nardo.

Tra le altre cose, nel memoriale, Lo Giudice si lancia in una accusa di cui (forse) non comprende appieno la valenza. O forse si e allora si presta a confondere le acque e richiama l'altro presunto "bombarolo" del gennaio e agosto 2010, Consolato Villani. «Ancora prima di me – scrive Lo Giudice in riferimento all'interrogatorio con la Dna a cui viene sottoposto - era stato convocato Villani Consolato e sicuramente e stato minacciato nelle medesime condizioni. L'ufficio della Dna è un luogo dove vengono convocati i collaboratori per impiantare tragedie e i capi sono i "registi e noi gli attori"».

Nella sua lettera/memoriale in un italiano zoppicantissimo, racconta che il 18 dicembre, mentre stava per deporre in videoconferenza, viene invitato dal pm della Dna Gianfranco Donadio a sostenere un colloquio investigativo il cui scopo era quello di «impiantare una tragedia a persone a me sconosciute (tale Giovanni Aiello e una certa Antonella che non sapevo che esistevano e che malgrado la mia opposizione a tale richiesta, ascolta registrazione integrale) ho subito forti pressioni e minacciato che se non rispondevo quella sarebbe stata l'ultima volta che ci saremmo visti, accettai quanto mi veniva suggerito dal dottor Donadio e, facendomi firmare quanto a lui conveniva, altresì, in tale circostanza mi veniva richiesto se ero a conoscenza se Villani era il vero killer che uccisero i Carabinieri a Reggio Calabria, in'oltre se a presentarmi tale Aiello fosse stato mio fratello Luciano e, io gli risposi di no, che era stato il capitano Saverio Stracuzzi e lui quando gli dissi così approvò con soddisfazione tale risposta, dopo volle sapere se io ero i possesso di fotografie di tale Aiello e risposi di sì, e come li avessi avuti, gli risposi che a farli era stato Antonio Cortese e lui accettò, poi mi disse se questo tizio mi aveva confidato qualcosa durante la nostra frequentazione e, di molto serio (degli attentati Borsellino e di omicidi avvenuti in Sicilia ai danni di due poliziotti in borghesi) e di altro omicidio consumato ai danni di un bambino avvenuto sempre in Sicilia.

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