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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2013 alle ore 14:10.

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Un anno e mezzo dopo l'acquisizione cinese del leader mondiale dei costruttori di yacht Ferretti (per 374 milioni di euro), in Italia "rimane aperto il dibattito sui rischi legati all'ingresso in forze dei capitali cinesi", osserva Les Echos. Lo scorso gennaio, un rapporto confidenziale del Dis (Dipartimento informazioni per la sicurezza) ha lanciato l'allarme sulla "minaccia di delocalizzazione" dei fiori all'occhiello del "made in Italy" indeboliti dalla crisi, facendo proprio l'esempio di Ferretti. Ma il costruttore "ha smentito ogni progetto di delocalizzazione nell'isola di Hainan, in Cina", scrive Les Echos, citando Ferruccio Rossi, numero uno di Ferretti. Anzi, dopo avere già ottenuti parecchi ordini a Hong Kong, Ferretti sta negoziando per la prima volta progetti di megayatcht di oltre 80 metri per dei miliardari della Cina continentale.

L'arrivo di Dagong Europe è considerato un "segnale significativo" da Pietro Modiano, presidente di Nomisma. L'agenzia potrebbe servire da "pesce pilota" per i grandi investitori "assetati di tecnologia e di marchi". Modiano, ex dirigente di Unicredit, consiglia il "modello Ferragamo": "Ferragamo è un modello esemplare che suggeriamo a tutti gli imprenditori italiani: fare entrare un partner cinese nel capitale per accelerare la propria crescita in Cina". Tra gli emuli, il fabbricante di cachemire Brunello Cucinelli.
In un altro settore, "l'ombra del magnate di Hong Kong, Li Ka-Shing, plana su Telecom Italia", scrive Les Echos, ricordando l'obiettivo di fusione tra 3 Italia (detenuta dal gruppo cinese H3G) e Tim. L'operazione è lungi dall'essere conclusa "ma alcuni già ci vedono la promessa di un abbandono progressivo dell'industria italiana della telefonia".
La "lunga marcia" degli investitori cinesi in Italia non risale a ieri, continua Les Echos, ricordando che il gigante dei trasporti Cosco è nel terminal portacontainer del porto di Napoli già dal 2008. Tra gli ultimi progetti d'investimento, il gigante dell'abbigliamento cinese Jihua ha messo gli occhi su Tessitura Majocchi, specialista di fibre sintetiche in provincia di Como.

Oltre alle partecipazioni dirette, "il made in Chinitaly" "ha il vento in poppa" e "la penetrazione cinese non si limita più al polo tessile di Prato".
Pirelli sarà, come corre voce, la prossima "presa" simbolica di un investitore dell'Impero di Mezzo? si domanda Les Echos. "Nel suo ufficio luminoso della Bicocca", Marco Tronchetti Provera afferma che "la questione non è d'attualità". Ricorda solo che Pirelli sta raddoppiando la capacità della sua fabbrica di Yanzhou in Cina, per farne il più importante sito del gruppo nel mondo. Ma l'accordo di ristrutturazione del capitale Pirelli appena concluso col fondo Clessidra "è stato generalmente percepito come una promessa di vendita a termine", nota Les Echos. "Nessuno si scandalizzerebbe se, tra tre o quattro anni, Pirelli dovesse battere bandiera cinese".
"In periodo di crisi - conclude il reportage - la sete di know-how della seconda potenza economica mondiale può rivelarsi una manna provvidenziale. A condizione che i fili del ‘made in Chinitaly' si tessano in armonia".

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