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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2013 alle ore 06:40.

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«Back to manufacturing». Come Atene nelle guerre persiane si salvò con "mura di legno" (le navi di Temistocle), così il futuro dell'Europa è nei "cancelli delle fabbriche", cioè nella cara, vecchia industria. Soprattutto se scommette su ricerca e settori avanzati e a maggiore valore aggiunto. È questa la tesi emersa dall'incontro di ieri all'università Cattolica di Milano su crescita e occupazione.
Senza investimenti non si creano nuovi posti di lavoro e, quindi, i consumi stentano a riprendersi. «Se vogliamo uscire dalla crisi, non si può pensare – ha detto Susanna Camusso, segretario generale della Cgil – di "rimpicciolire" la capacità di produrre dell'Europa. Per invertire la tendenza bisogna rivedere le politiche industriali su energia, digitale e difesa. La Ue deve infatti proporsi come "grande" sui mercati mondiali». Posizione che la Confindustria sostiene da tempo; il presidente Giorgio Squinzi ieri ha salutato favorevolmente la convergenza della Cgil: «Sono d'accordo a ripartire dal manifatturiero soprattutto con ricerca e innovazione, solo così si potranno veramente aiutare i giovani dando loro un futuro». Un futuro che, ha aggiunto Squinzi, «potrà essere davvero compiuto quando si creeranno gli Stati Uniti d'Europa».
Tutti i relatori, tra cui il vicepresidente dell'Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) Carlo Secchi e il ministro per gli Affari europei, Enzo Moavero Milanesi, hanno sottolineato come la sopravvalutazione di finanza e servizi sia stato un «grave errore». Ecco perché, ha sottolineato il vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, «serve impegnarsi perché entro il 2020 almeno il 20% del Pil Ue derivi dalla manifattura».
Ma come raggiungere questi obiettivi in maniera realistica e pragmatica? Trovando nuove risorse per la politica economica, è la risposta di Susanna Camusso per la quale «bisogna cambiare il fiscal compact». L'accordo siglato nel dicembre 2011, va rivisto: «È necessario modificarlo perché con il sistema attuale non é possibile risolvere il problema del debito pubblico». La leader Cgil ha inoltre chiesto di mettere a punto un meccanismo «per la "mutualizzazione" del debito pubblico di tutti i partner per uniformare le politiche Ue sul debito. In tal modo nessun paese verrebbe aiutato più degli altri». «L'Europa – ha proseguito – deve cominciare a cambiare un po' di regole a cominciare da quelle sulla concorrenza». Quanto agli incentivi per l'occupazione decisi dal Governo, per Camusso «vanno bene, ma non si può pensare di invertire la tendenza di questa crisi senza pensare di pestare i piedi a chi, durante questa stagione, si é arricchito e ha accumulato: bisogna redistribuire».
Tajani ha rilanciato la sua idea che accanto al "fiscal compact" sia necessario un "industrial compact": si tratta di scommettere su una politica industriale agile, moderna, seria e aggiornata sulle nuove frontiere delle tecnologie abilitanti. «Una parte del documento – ha detto il vicepresidente Ue – approvato la scorsa settimana al vertice di Bruxelles va proprio in questa direzione». Non basta però. Le aziende devono trovare maggior accesso al credito, meno burocratico e con più equilibrio sul versante dei costi in tutti i Paesi Ue. Da qui l'idea di pensare a una "vera" Banca europea («L'euro è troppo forte per favorire l'export», ha ricordato Tajani) cominciando ad esempio proprio dagli eurobond. Il tema era stato il cavallo di battaglia dell'ex presidente della Commissione Jacques Delors, come ha ricordato Alberto Quadrio Curzio, professore emerito della Cattolica, università che aveva dato all'europeista francese la laurea ad honorem.
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