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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2013 alle ore 08:25.

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Una quindicina di chilometri verso Sud, e seconda immersione nel mondo degli Ikhwan, i fratelli. Alle bancarelle vendono caschi di plastica da cantiere ma non sembra siano qui per rovesciare il golpe. Inspiegabilmente dicono tutti grazie. «Perché siete qui», spiegano. Non è difficile raggiungere il cuore della mobilitazione, la moschea: la gente è tanta ma non così tanta. Sull'edificio di fronte alla moschea c'è la pubblicità della nuova soap opera che la tv manderà in onda durante il Ramadan che incomincia giovedì. S'intitola "Onda di calore". Prima di cambiare padrone, la propaganda aveva detto che Mohammed Badie, la guida spirituale del movimento, era stato arrestato a Marsa Matrouh. Invece appare sul palco e parla alla folla estasiata senza incitarla alla guerra santa.
In serata qualche centinaio di giovani cerca di avvicinarsi a piazza Tahrir, vengono affrontati dalle ex opposizioni: scontri, sassaiole e qualche ferito. Arrivano i blindati dell'esercito e tutto finisce. Il risultato della giornata non cambia. Se i militari non avessero fatto il golpe, avrebbero perso; se non c'è jihad, hanno perso i Fratelli musulmani. Gli elicotteri continuano a volare sopra le teste di tutti: gioiosamente e con le bandiere su quelle di piazza Tahrir; minacciosamente a bassa quota, su quelle degli altri. La necessità di definire tutto questo rimane: per la storia se non per la cronaca. Non fu golpe ma furto. Forse a fin di bene, forse perché l'Egitto diventi un Paese moderno. Ma il furto alla modica quantità di verità degli islamisti, rimane.
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