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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2013 alle ore 14:50.

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Dal Politecnico di Milano a Bolzano, l'università parla inglese (ma non sempre)

Bilingui sì. Del tutto anglofoni no. O non ancora. Nel solo 2012, 57 degli 81 atenei associati al Crui (Conferenza rettori universitari italiani) hanno incluso corsi in inglese nell'offerta formativa. Il 70%. Un esperimento che funziona, a giudicare dal buon feedback di laureati e mercato del lavoro. Ma fatica a decollare del tutto. Sia per i ritardi nella preparazione linguistica di docenti e matricole, sia per l'incompatibilità di alcuni corsi con un idioma diverso dall'italiano. E se in Bocconi sette lauree magistrali su 10 sono integralmente «English taught», c'è chi resiste. Come i 234 docenti del Politecnico di Milano che hanno respinto l'ipotesi di escludere l'italiano dall'offerta didattica delle ex specialistiche, i bienni di magistrale.

Quanti sono, dove sono

In totale, i corsi in inglese erogati raggiungevano nell'anno accademico 2011/2012 le 671 unità. Con percentuali sbilanciate sulla specializzazione: i corsi di laurea triennale non incidono per più del 3%, lauree magistrali e dottorati sfiorano il 60%. A riprova di target distinti tra i titoli di primo livello, orientati alla formazione, e i bienni magistrali. Che rappresentano, sempre più spesso, il biglietto di sola andata per il mercato internazionale.

Quanto a diffusione geografica, gli atenei del nord scalzano nettamente i colleghi di centro e sud. Merito di colossi come Milano, Torino o Bologna. E di eccellenze più recenti: la Libera Università di Bolzano, fondata nel 1997, è il primo ateneo su scala europea ad offrire corsi trilingui in italiano, inglese e tedesco.

Ingegneria, finanza, medicina. Chi parla straniero (e chi no)

Tra le aree disciplinari, il predominio va agli studi ingegneristici ed economici, dove i corsi impartiti in inglese rappresentano il 25% e il 20% dell'offerta totale. Le lauree in "economics" e corsi associati sono 8 a livello triennale e quasi 50 al giro di boa del biennio specialistico. Per le facoltà di ingegneria, includendo anche il settore di ingegneria civile e architettura, il totale sale rispettivamente a 10 e 58.

Sempre più orientate sull'inglese le "scienze mediche", cioè Medicina e discipline di area sanitaria. L'Università Cattolica del Sacro Cuore inaugura proprio nel 2013 un corso di laurea in Medicine and Surgery, con 52 posizioni disponibili. A Pavia la stessa offerta è attiva da anni, per un totale di 100 ammissioni: 60 per cittadini Ue, i restanti per matricole da tutti i continenti.

In fondo alla classifica compaiono le discipline di impronta umanistica (come storia, filosofia e lettere a indirizzo antico o moderno) con nessun corso di laurea in inglese al triennio e solo due nell'offerta didattica magistrale. Più sorprendente il vuoto assoluto di corsi in inglese fra lauree di primo livello in biologia, chimica e fisica: offerta pari a zero nel corso triennale, con una media di 6-8 alternative nel biennio.

Il caso del Politecnico

E a proposito di sorprese. Aveva fatto scalpore il no di più di 200 docenti del Politecnico di Milano alla conversione in inglese delle lauree magistrali. Con tanto di ricorso al Tar, vinto, per salvaguardare l'italiano nell'insegnamento. Scalpore perché il "Poli" è un caso scuola di internazionalizzazione, con un'offerta in lingua inglese che include 2 lauree triennali, 19 corsi magistrali e 18 corsi di dottorato di ricerca. Numeri che pagano nell'attrattività europea e mondiale dell'ateneo.

Nel solo 2012/2013, gli iscritti stranieri hanno sfiorato il 10%, rappresentando 113 paesi tra i corridoi di piazza Leonardo da Vinci, della Bovisa e delle sedi staccate tra Lombardia ed Emilia-Romagna. Una fetta divisa tra il 6% dei triennalisti (1.565), il 16% di chi studia in magistrale (2.080) e addirittura i 20 e 26% dei perfezionando all'Alta Scuola Politecnica e dei corsi di dottorato (54 e 290, su un totale di iscritti ovviamente più esiguo).

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