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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2013 alle ore 14:17.

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A fianco del marasma politico e istituzionale italiano, che si materializza nei continui scomposti tentativi di riformare la Carta Costituzionale e nella giuridicamente ineccepibile sentenza della Corte di Cassazione sul caso Berlusconi, due significativi avvenimenti internazionali hanno caratterizzato la scorsa settimana.

Il primo riguarda la procedura fallimentare della città di Detroit e il secondo il rapporto del Fondo Monetario Internazionale sulla zona euro e in particolare sulla Grecia e il futuro economico dell'euro.
Un primo collegamento fra Detroit e Atene era già stato antecedentemente effettuato da alcuni noti commentatori e in particolare da Krugman, che ne ha rilevato il pericoloso mimetismo nel tentativo di quei politici e tecnici che cercano di spostare il dialogo dal vero problema della creazione dei posti di lavoro, come avvenne per la Grecia, a quello della integrità fiscale e dell'austerity.
Ritengo peraltro che, oltre agli indiscutibili rilievi di Krugman e alle sue corrette bacchettate contro gli arroganti e stolti fanatici del libero mercato, altre considerazioni che ci riguardano più da vicino possono essere presentate al lettore. La prima di queste è che la città di Detroit, con debiti a lungo termine stimati in più di 18 miliardi di dollari, è certamente la più grande città americana a dichiarare la propria insolvenza e a chiedere la protezione nei confronti di tutti i suoi creditori, con l'avvio del Chapter 9 della legge fallimentare federale. Eppure Detroit cinquant'anni fa era una delle città più ricche d'America, con General Motors, Ford e Chrysler che producevano quasi tutte le automobili vendute negli Stati Uniti. Era abitata da un milione e ottocentomila persone, ridotte oggi a settecentomila, in stragrande maggioranza povere, di scarso livello culturale e in fuga dalla città.

Eppure se il giudice Steven Rhodes, incaricato della Procedura, riuscirà ad approvare il piano di ristrutturazione dei debiti, che addirittura qualcuno suggerisce debbano parzialmente essere pagati con la vendita della straordinaria collezione di arte antica del Detroit Institute of Arts, che non potrà comunque neppure garantire il pagamento dei maggiori crediti costituiti dalle pensioni e dall'assistenza sanitaria, Detroit, sempre più spopolata, continuerà tuttavia ad avere quella che l'Economist ha qualificato per i visitatori una «piacevole sorpresa». La città può essere fallita, ma una piccola parte di essa vive in un ambiente di notevole benessere, completamente separata dalla grande parte povera della città, con scuole eccellenti, servizi di prim'ordine, mezzi di trasporto efficienti, sistemi di sicurezza rapidi ed efficaci, parchi splendenti. Questa incredibile diseguaglianza è stata giudicata da Robert Reich non tanto come il fallimento di Detroit, ma come il fallimento del contratto sociale americano: quel contratto sociale che aveva garantito lavoro, pensioni e sanità ai lavoratori. Insomma, con l'insolvenza della città di Detroit si dissolve inesorabilmente lo welfare state.

In contemporanea, mercoledì scorso, il Fondo monetario internazionale, contestualmente all'elargizione di ulteriori quattro miliardi di euro dalla Troika, ha intimato al governo greco - in una situazione recessiva, con un prodotto interno lordo in continua diminuzione, la disoccupazione che raggiunge il 27 per cento e quella giovanile addirittura il 57 - di far in modo che l'Unione europea e la Banca centrale europea cancellino una parte dei loro debiti, così che Atene possa poi ripagare interamente quelli dovuti al Fmi. Alla faccia della parità di trattamento dei creditori (par condicio creditorum).
Se dunque la situazione di Detroit e quella della Grecia hanno molti punti in comune, uno è essenzialmente diverso, e cioè che comunque, la ristrutturazione del debito di Detroit attraverso la legge fallimentare federale americana non avrà effetti di contagio con il resto dell'economia americana, mentre quello greco continuerà ad averli, in mancanza di una Unione europea federale, che dovrebbe essere costituita nel nome di uno welfare e di una democrazia europea, piuttosto che di una concor-renza sulla disciplina dei budget degli Stati membri. Ne è amara conferma la dichiarazione immediatamente rilasciata dalla Cancelliera Angela Merkel, in procinto di affrontare a settembre lo scontro elettorale, che la Germania non sopporterà nessuna perdita sui prestiti fatti ad Atene.

Se dunque il contratto sociale è fallimentare in America, in Europa esso manca ancora del principio fondante e della sua Grundnorm.
All'amara conclusione che riguarda solo l'Europa ve ne è una ulteriore, che concerne anche gli Stati Uniti. L'impoverimento economico e culturale sta provocando, al di qua e al di là dell'oceano, la scomparsa delle classi medie, sulle quali si era costruito il meglio della civiltà occidentale. Il capitalismo finanziario con i suoi incolti, arroganti ed interessati sostenitori, sta operando con gli stessi strumenti di isolamento che adotta nelle crisi economiche. Nei sistemi bancari le non riassorbibili passività vengono scaricate sulle bad banks, le cui perdite vengono tranquillamente cancellate. Ma quel che molti non paiono ancora voler capire è che qui, come sostiene Robert Reich, non si tratta di questioni finanziarie, ma di esseri umani e non è pensabile che i pochi dominanti ricchi operino solo per cancellare i poveri.

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