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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2013 alle ore 08:20.

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Il cammino, insomma, è appena iniziato. Solo due iniziative da parte di Sgr indipendenti sono ovviamente poche. E soprattutto nessuna di queste va a puntare sulle aziende più in difficoltà: quelle piccole. Ma ovviamente questi sono solo i primi passi. Poi, complici anche le riforme normative in cantiere, la speranza è che il mercato si allarghi.
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GLI ISTITUTI DI CREDITO
Banche pronte al credito di natura non bancario: ma attenzione ai conflitti
Il Monte dei Paschi di Siena è già partito con un credit fund: un fondo dedicato ai mini bond emessi dalle imprese italiane. Bnl è pronta a seguirne le orme: è pronta a lanciare un fondo da 150 milioni di euro con la medesima finalità. La Banca Popolare di Vicenza segue a ruota. Ma, secondo gli addetti ai lavori, anche altri istituti di credito stanno lavorando per disintermediare in parte se stessi: cioè per erogare quel credito che le banche strutturalmente non riescono più a garantire, con altri strumenti. Con i credit funds.
L'iniziativa di Mps è stata la prima a venire allo scoperto. Insieme a Confindustria e Finanziaria Internazionale Investments Sgr (che agisce come gestore), l'istituto senese ha lanciato un credit fund da 250 milioni di euro massimi. Il fondo (che ha durata massima di 7 anni) investirà in obbligazioni emesse da piccole imprese di vari settori: dalla meccanica al manifatturiero, dal turismo all'agroalimentare. Insomma: in tutti quei settori che hanno una forte connotazione del «made in Italy» e una forte attitudine all'esportazione. Questa iniziativa – ha commentato l'amministratore delegato Fabrizio Viola – «è un passaggio importante, una disintermediazione intelligente per risolvere un problema strutturale di tutto il sistema bancario».
Simile l'iniziativa di Bnl-Bnp Paribas: un fondo da 150 milioni di euro dedicato ai minibond che diventerà operativo dopo l'estate. Il fondo comprerà obbligazioni senior emesse dalle Pmi, con durata massima di 5 anni e ammortamento del capitale a decorrere dal secondo e terzo anno. Nel complesso il fondo investirà in 30-40 emissioni obbligazionarie.
Il problema di queste iniziative bancarie, seppur encomiabili se servono a ridurre la morsa del credit crunch, è il rischio di conflitti d'interesse. Per intenderci: il pericolo è che le banche "scarichino" in questi fondi i crediti delle imprese dalle quali vogliono disimpegnarsi. Insomma: che le banche mettano nei fondi i crediti meno buoni, per tenere i migliori nei propri bilanci. Ben consce di questa critica, le banche attive sul mercato dei credit funds hanno cercato di adottare dei meccanismi che quantomeno riducano il problema del conflitto d'interessi. Bnl, spiega per esempio l'a.d Fabio Gallia, agisce su tre fronti per mitigare questo problema. «Innanzitutto oltre al gestore ci sarà un advisor indipendente, che siederà nel comitato d'investimento del fondo – assicura Gallia –. Per di più Bnl stessa sottoscriverà sempre il 20% dei mini-bond acquistati dal fondo. Per di più il fondo investirà anche in obbligazioni emesse da imprese non clienti di Bnl». Non resta che attendere, per capire se i vari meccanismi anti-conflitti funzioneranno davvero.

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