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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2013 alle ore 13:00.
L'ultima modifica è del 17 agosto 2013 alle ore 09:37.

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Ma qualche decina di migliaia di uomini molto determinati sono sufficienti per spingere l'Egitto verso la guerra civile. «I nostri morti accelereranno la caduta del regime», diceva ieri un portavoce della fratellanza. Con un notevole cinismo (loro lo chiamano sacrificio), ieri gli islamisti volevano dei martiri e li hanno ottenuti. Nella sua brutalità il governo era stato chiaro: «Le forze di sicurezza sono autorizzate a usare le armi contro chiunque attenti all'ordine pubblico». Era esattamente ciò che cercavano gli islamisti, marciando verso piazza Ramses.

Oltre all'Occidente che con l'Egitto ha storiche relazioni economiche e politiche, il Medio Oriente musulmano guarda attonito al disastro egiziano. Ognuno ha una quota di responsabilità anche se nessuno ne porta tante quante gli stessi egiziani. Ieri è intervenuto con determinazione re Abdullah, saudita, un'autorità assoluta del mondo sunnita, che aveva difeso Mubarak fin oltre la sua fine, aveva promesso miliardi d'aiuti al governo dei militari e detesta da sempre i Fratelli musulmani. Abdullah parla di «interventi stranieri» e definisce «terroristi» i membri della fratellanza. Denuncia un «complotto terroristico» - lo fa anche il governo al Cairo - e invita «gli arabi a unirsi contro chi vuole destabilizzare l'Egitto».

Il problema è che gli arabi e i musulmani sono completamente divisi nell'identificare i responsabili della destabilizzazione. L'internazionale dei Fratelli musulmani ha organizzato manifestazioni in tutte le città arabe. È per la forte presenza islamista un po' ovunque che gli altri leader arabi sono stati più cauti del re saudita nel commentare gli eventi egiziani. Solo in Turchia il primo ministro Erdogan, un fratello musulmano, ha chiesto alle Nazioni Unite e alla Lega araba di intervenire con forza contro il governo al Cairo. Il Venezuela ha richiamato il suo ambasciatore. Amnesty International parla di «violenze ingiustificate».

Dopo avere ignorato lo stato di emergenza che in teoria vieta assembramenti che mettano in pericolo l'ordine pubblico, ieri i Fratelli musulmani hanno iniziiato a violare anche il coprifuoco. Alle 19, quando avrebbe dovuto scattare, migliaia di persone presidiavano piazza Ramses e i cavalcavia che la dominano. Così come in altri luoghi della città. Verso le 20 bruciava un intero palazzo di piazza Ramses e le fiamme minacciavano la banca del sangue della Croce Rossa.

«Agiremo contro chiunque non rispetterà il coprifuoco», insiste un comunicato del governo che credeva sarebbe stato tutto più facile. La fratellanza, intanto, annuncia «una nuova settimana di manifestazioni». Si prepara un nuovo massacro: forse oggi, forse domani.

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