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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2013 alle ore 08:16.

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E da due anni si è aggiunta, a stretto contatto, la guerra civile in Siria, dove a poche settimane dall'inizio della rivolta del marzo 2011 i turchi, gli arabi del Golfo e anche gli Stati Uniti pronosticavano una rapida fine del regime di Bashar Assad. A Damasco esultano: i generali egiziani, dei sunniti teoricamente ostili ad alauiti e sciiti, si sono trasformati in alleati morali della repressione contro insorti e islamisti, spazzando via un governo che negli stadi invitava i militanti a combattere la jihad in Siria.
Uno stato semi-fallito, l'Iraq, e adesso l'ex Siria, il cui campo di battaglia si è esteso come previsto al Libano a colpi di attentati e autobombe: nella valutazione di quanto avviene al Cairo non si possono ignorare questi eventi che sconvolgono il cuore del Medio Oriente. Visti i precedenti, la diplomazia internazionale non poteva essere molto convincente nei confronti dei generali egiziani. Per loro, come per gran parte dei mediorientali, i consigli occidentali sono veleno. L'inefficacia americana ed europea si basa anche su un passato antico e recente in cui abbiamo bruciato la nostra credibilità: le tragedie non si costruiscono soltanto nelle ferite sanguinanti del mondo arabo ma anche nelle cancellerie occidentali, nelle opinioni bizzarre di think tank poco abituati a consumare le suole delle scarpe nel Medio Oriente reale.
Per onestà possiamo soltanto immaginare ma non sapere cosa potrà accadere in Paesi come la Tunisia o la Libia. A Tunisi il governo di coalizione guidato dagli islamici di Ennhada è nella morsa della crisi economica e della protesta laica, esasperata dall'assassinio in sei mesi di due leader del fronte secolarista, come Choukri Belaid e Mohammed Brahmi. Ma qui come nell'anarchica Libia, sempre più divisa tra Tripolitania e Cirenaica, molte altre forze sono pronte ad approfittare dell'instabilità: i salafiti, i jihadisti, la stessa Al Qaeda che ha trovato nei massacri del Cairo nuove armi di propaganda.
Spazzati via gli autocrati, l'Islam politico, dopo un breve successo elettorale, è andato in crisi, un fiasco clamoroso che però potrebbe essere pagato, presto o tardi, anche dai laici che adesso si illudono di trovare una via di uscita con i militari.
Le contraddizioni sono laceranti: Tamarrod sosteneva la democrazia contro Morsi poi ha avallato la violenza, i militari stavano con Morsi adesso sparano nel mucchio. I salafiti erano con i Fratelli Musulmani quindi hanno appoggiato il golpe e ora hanno fatto di nuovo marcia indietro. E tutti, Fratelli Musulmani compresi, hanno scippato la rivoluzione ai giovani di piazza Tahrir.
Siamo sicuri che uomini come Abdel Fattah Al Sisi siano i difensori della laicità e della democrazia? I generali, come insegna il passato, sono una parte del problema non la soluzione. Anche per noi è un valido interrogativo, perché l'onda lunga degli stati semi-falliti della Sponda Sud continua a infrangersi ogni giorno con i suoi drammi umani su quella Nord del Mediterraneo
© RIPRODUZIONE RISERVATAI NUMERI DELLA CRISI 70mila
Le vittime in Siria
La guerra civile siriana avrebbe causato finora tra le 60 e le 70mila vittime. Il conflitto si è ormai esteso stabilmente al territorio libanese a causa del coinvolgimento diretto del movimento sciita Hezbollah, in appoggio al regime di Assad.
8 miliardi
Gli aiuti del Golfo al Cairo
In dollari, sono i soldi promessi dal Qatar, dagli Emirati e dal Kuwait all'Egitto per stabilizzare l'economia del Paese, prossima al collasso. Dagli Usa arrivano ogni anno 1,5 miliardi, per la maggior parte destinati a spese militari.

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