Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2013 alle ore 06:42.

My24

Erdogan, puntando su Morsi, ha quindi scelto il cavallo perdente. E per la verità non è la prima volta che accade in questi anni durante i quali la politica estera è stata diretta da Ahmet Davutoglu che ha coniato l'ormai usurato slogan "zero problemi con i vicini".
In realtà la Turchia ora ha "molti problemi con tutti i vicini": a partire dalla Siria e dall'Iraq, dove i curdi si stanno ritagliando una zona autonoma che un giorno potrebbe saldarsi con il Kurdistan iracheno di Massoud Barzani che gioca come sempre una partita ambigua sia con Ankara che con il governo centrale di Baghdad. Cattive notizie per il premier che incontra ostacoli sempre più ardui nel concludere un accordo definitivo con la guerriglia del Pkk di Abdullah Ocalan, un'intesa sulla quale aveva molto puntato per chiudere un conflitto in corso dagli anni '80 e lasciare un segno indelebile nella storia della Turchia contemporanea.
L'idea guida di Erdogan, soprattutto dopo l'esplosione della primavera araba, era che la Turchia, bastione della Nato da oltre 50 anni, potesse diventare la potenza regionale dominante, esercitando la sua influenza sul mondo sunnita. Ma gli attori del Medio Oriente, di fronte a questi progetti dal sapore vagamente neo-ottomano, non sono mai stati troppo d'accordo: dai sauditi ai movimenti jihadisti e salafiti, per non parlare di Al Qaeda. Non solo, i passi falsi della Turchia, che ha sbagliato clamorosamente i calcoli sulla tenuta del regime di Assad, stanno favorendo anche l'Iran, la potenza sciita per ecellenza, che non rinuncia alle sue ambizioni egemoniche nella regione, dall'Iraq, al Libano al Golfo.
La Turchia invece di risolvere i problemi del Medio Oriente e avvicinarsi all'Europa, com'era nelle sue ambizioni, ha importato in casa i guai della regione. Erdogan ha pesanti responsabilità, come hanno dimostrato le manifestazioni di Piazza Taksim affrontate con un'arroganza degna di un raìs mediorientale, sollevando molti dubbi sulla sua tenuta anche in Occidente. In Palestina ha appoggiato Hamas giocandosi un'alleanza decennale con Israele, senza comunque sedere al tavolo di nessun negoziato. Con la guerra civile siriana si è trovato, oltre a centinaia di migliaia di profughi, a confinare con gruppi jihadisti e qaedisti scatenati contro curdi e cristiani.
La sua politica estera e interna non solo è avversata dall'opposizione secolarista e dalle forze armate - irritati dalle condanne dei generali al processo Ergenekon - ma piace assai poco anche a Fetullah Gulen, l'imam turco residente negli Stati Uniti, capo di una confraternita potente e ramificata dell'economia e nella società turca che può determinare le fortune del partito Akp. E adesso ha perso anche la partita del Cairo dove pensava di avere un solido alleato. Erdogan era un leader di successo, una sorta di modello da esportazione dell'Islam democratico moderato (sarebbe meglio dire pragmatico): ora non può più telefonare neppure all'amico Morsi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi