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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2013 alle ore 16:07.

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Letta Afghanistan (Ap)Letta Afghanistan (Ap)

Punti sensibili dell'intesa tra Kabul e Washington riguardano l'entità della futura presenza militare, i compiti dei militari statunitensi e occidentali e il rinnovo dell'immunità giudiziaria che impedisce a Kabul di processare i soldati stranieri per reati commessi sul suolo afghano. Se quest'ultimo punto non venisse approvato dalle autorità afghane Washington ha preannunciato che verrebbe attuata la cosiddetta "opzione zero" ovvero il ritiro totale delle forze statunitensi dal Paese che indurrebbe anche gli altri alleati ad andarsene come è accaduto in Iraq. I vertici militari del Pentagono scoraggiano un ritiro completo dal Paese che renderebbe inutili gli sforzi e i costi umani e finanziari sostenuti in questi ultimi 12 anni per stabilizzare l'Afghanistan e le sue istituzioni. L'ipotesi sembra invece tentare parte dell'Amministrazione Obama frustrata per i continui contrasti con il presidente afghano Hamid Karzai.

Le opzioni della Nato
Circa l'entità delle forze alleate da assegnare all'operazione della Nato "Resolute Support" non ci sono ancora chiare definizioni ma sembra prendere piede l'opzione di lasciare in Afghanistan 15 mila soldati. Per l'ammiraglio James Stavridis, fino a poche settimane or sono comandante supremo della Nato, sarebbe questa la consistenza ideale dei contingenti militari alleati: 9 mila militari statunitensi e 6 mila alleati. Stavridis lo ha scritto in un articolo su Foreign Policy http://www.businessinsider.com/nato-chief-troop-levels-afghanistan-2014-2013-8 sottolineando che le opzioni sul tappeto vanno dal mantenimento di una forza di 20 mila militari con limitate capacità anche di supporto aereo e di combattimento fino alla cosiddetta "opzione zero". Per Stavridis un livello di 15 mila soldati garantirebbe credibili capacità di supporto alle forze afghane nei quattro comandi regionali (Nord, Sud, Ovest, Est) con costi decisamente più bassi di quelli attuali. Il sostegno finanziario alle truppe di Kabul costerà presumibilmente 4 miliardi di dollari annui rispetto ai 100 miliardi che i soli Stati Uniti hanno spesso annualmente negli ultimi quattro anni.

Molti Paesi europei impegnati in Afghanistan non manterranno la loro presenza nell'operazione Resolute Support o lasceranno solo piccoli team di istruttori come nel caso di Canada, Australia, Francia, Olanda, Gran Bretagna e altri. Per questo Roma e Berlino cercano partner da affiancare alle proprie truppe per i rispettivi comandi territoriali. I lituani ad esempio lasceranno il settore Ovest a guida italiana e raggiungeranno i tedeschi nel nord afghano. Roma cerca partner anche extra-Nato come nel caso degli ucraini destinati a schierare un numero imprecisato di truppe a Herat dove sono già arrivati un centinaio di soldati di Kiev. Prima di Ferragosto è stato siglato a Bruxelles un "technical agreement" bilaterale per il supporto logistico al personale di Kiev inserito nel contingente italiano nell'ambito del Regional Command West. L'accordo prevede la fornitura da parte italiana di servizi, quali l'alloggiamento e le prestazioni ad esso connesse, il vettovagliamento, la sicurezza, la manutenzione dei veicoli e la fornitura dei carburanti e lubrificanti presso la base di Herat. Lo stesso accordo prevede l'erogazione, sempre da parte italiana, di beni e servizi logistici a titolo gratuito, tra i quali il servizio informazioni meteorologiche, le aree per il deposito di munizioni ed equipaggiamento, l'accesso alle infrastrutture per il benessere del personale e il servizio sanitario d'emergenza. Gli italiani devono del resti fare i conti con l'esodo dei contingenti alleati nel settore Ovest. Oltre ai lituani se ne sono già andati gli albanesi mentre gli spagnoli hanno accelerato il ripiegamento dalla provincia di Badghis ed entro l'anno non lasceranno a Herat più di 300 militari.

Ritiro accelerato
Del resto la coalizione internazionale ha già ridoto a 87 mila i suoi effettivi complessivi che caleranno ulteriormente entro l'anno anticipando di fatto al 2013 il ritiro dalle operazioni sul terreno previsto per l'anno prossimo. Gli alleati hanno abbandonato 700 delle basi che aveva costituito in Afghanistan, ossia il 90 per cento del totale, come ha riferito in un'intervista all'agenzia di stampa Pajhwok il portavoce della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf) generale Heinz Feldmann. L'uficiale tedesco ha sostenuto che questo è stato possibile perché le forze afghane hanno confermato di saper mantenere il controllo della sicurezza sulla gran parte del territorio nazionale anche se buina parte delle basi abbandonate dalla Nato sono state distrutte proprio perché le forze afghane non erano in grado di presidiarle. "L'Isaf ha avuto il controllo di 800 basi piccole e grandi ma ora il loro numero è sceso a 100 e stiamo lavorando insieme al ministero delle Finanze afghano per decidere quali basi debbano essere trasmesse alle forze di sicurezza afghane".

Nel settore Occidentale a guida italiana http://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/ISAF/Pagine/Generalita.aspx è previsto l'abbandono della base di Farah City in dicembre, durante il prossimo turno di missione affidato alla Brigata Aosta che sta per rimpiazzare gli alpini della Julia. Dopo resteranno in Afghanistan meno di 2 mila militari italiani schierati solo nelle basi di Shindand (inserita in un complesso militare statunitense) e di Camp Arena, che verrà mantenuta anche nei prossimi anni per le esigenze della missione della Nato "Resolute Support". In molte aree già abbandonate dal contingente italiano i combattimenti sono tornati ad essere frequenti ed è aumentata la pressione talebana. Nel distretto del Gulistan (provincia di Farah), dal quale gli italiani si sono ritirati un anno or sono, si sono registrati tra il 18 e il 19 agosto duri scontri tra talebani e forze afghane che hanno causato la morte di 72 insorti e 11 poliziotti.

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