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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2013 alle ore 18:24.

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Piccole Silicon Valley all'italiana crescono, senza attendere il Governo

NETWORK E INVESTIMENTI
Capaci di gravitare intorno a istituzioni o atenei universitari, oppure guidati da qualche investitore illuminato, i poli delle start up italiane lavorano per superare gli ostacoli che impediscono di accedere ai capitali internazionali e superare i primi due anni di vita. "Solo le start up che vanno all'estero, riescono a decollare veramente. Chi resta in Italia, dopo qualche anno muore", dicono in tanti nel settore.

Uno dei più grandi e meglio funzionanti incubatori accademici, I3P presso il Politecnico di Torino, cerca di favorire la nascita di nuove imprese science-based con potenzialità di crescita, fondate sia da ricercatori universitari sia da imprenditori esterni, fornendo spazi attrezzati, servizi di consulenza per avviare la propria attività e li mette in contatto con un network di imprenditori, manager e investitori. In modo simile l'università della Calabria mette a disposizione 2mila mq e una sala multimediale presso TechNest, un incubatore che ospita fino a 20 imprese hi-tech. E gli esempi potrebbero continuare perché un incubatore oggi non si nega a nessuno, dalla Basilicata a Navacchio le zone industriali riconvertite per ospitare attività innovative sono numerose. E chi possiede capannoni o spazi ex produttivi cerca di attirare giovani innovatori per ridare vita agli spazi. Con il rischio, però, che le già scarse risorse vengano disperse senza riuscire a massimizzare e consolidare i veicoli di investimento.

I PROVVEDIMENTI E LA TASK FORCE DEL GOVERNO
Non si può negare che, in questo contesto, un impianto normativo maggiormente "start up friendly" aiuterebbe molto. Alcune importanti agevolazioni sono in fase di implementazione: il lavoro impostato dal Governo Monti, proseguito oggi dal Governo Letta, sembra essere sulla strada giusta anche se c'è ancora molto da fare. A fornire il quadro d'insieme è stato per primo il rapporto Restart, Italia! elaborato dalla task force di esperti sulle start up, presso il ministero dello Sviluppo Economico. Le conclusioni sono confluite nel Decreto Sviluppo Bis (Dl 179/2012, convertito nella legge 221/2012) che per la prima volta ha fornito una definizione di start up e di incubatore. A cui più di recente si sono aggiunte le modifiche del Dl Lavoro che hanno ampliato i requisiti per accedere ai benefici e alle semplificazioni. Il pacchetto di agevolazioni incide, in particolare, sulle fasi della nascita e dello sviluppo di tali imprese: semplificazione delle regole di diritto societario; riduzione degli oneri di avvio; maggiore flessibilità nella stipula dei contratti di lavoro a tempo determinato; possibilità di remunerare amministratori, dipendenti, collaboratori (e persino fornitori) con equity; significative agevolazioni fiscali per chi investe in start up innovative. Buone notizie anche sul fronte del crowdfunding: la Consob a luglio ha varato il regolamento che autorizza la raccolta via internet di capitali per le start up innovative e così l'Italia è diventato il primo Paese europeo a dotarsi di una normativa ad hoc. Il ministro dello Sviluppo Flavio Zanonato, infine, di concerto con il ministro dell'Economia, ha varato un decreto che mira a snellire e agevolare l'accesso al Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese anche alle start up innovative e incubatori certificati. "E' un ulteriore passo avanti verso l'implementazione della legge Passera sulle startup che è in pieno svolgimento, anche se probabilmente è una misura che potrà incidere solo su una quota limitata di start up innovative oggi esistenti e soprattutto difficilmente potrà finanziare la nascita di nuove start up", commenta il venture capitalist Gianluca Dettori, fondatore di dpixel. Purtroppo, infatti, una start up normalmente non ha i parametri necessari per ricevere un prestito da una banca, né la possibilità di offrire garanzie reali per la parte di finanziamento bancario.

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