Il paradosso della Libia divisa del post Gheddafi: deve importare energia

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I rischi per l'Italia
Sul fronte energetico la Libia conta più dell'Egitto, della Siria, dello Yemen o della Tunisia. La perdita del pregiato greggio libico rappresenta un grave danno per tutti. In primo luogo per l'economia del Paese, da decenni affetta dal pericoloso morbo della "petrodipendenza". In Libia le vendite di greggio rappresentano il 97% del valore del suo export, e l'80% del Pil. Il Governo di Tripoli non vuole e non può permettersi un'emorragia di fondi (5 miliardi di dollari al mese ai livelli produttivi toccati a giugno). Indispensabili per mantenere il suo esercito di impiegati pubblici (un milione su una popolazione di sei milioni). Così come per dare il via al grande piano di ricostruzione, tante volte annunciato, ma di fatto in stato di totale paralisi.

Ma se gli scioperi dovessero protrarsi ancora per settimane, i danni si manifesterebbero anche al di là del mare, in Europa. soprattutto in Italia, il primo acquirente di greggio della Libia. Nei primi cinque mesi del 2013, l'import dalla Libia ha rappresentato il 23% delle nostre forniture. Quanto al gas, che arriva sulle nostre coste attraverso il gasdotto Greenstream, il Paese è ancora il nostro terzo/quarto fornitore.

Indebolito, in crisi di credibilità, mantenuto in vita da flebili e mutevoli maggioranze, il Governo di Tripoli minaccia dure risposte militari. Non può più tollerare lo strapotere delle agguerrite milizie. Tantomeno che occupino l'aeroporto internazionale della capitale, bloccando per qualche ora i voli, come accaduto ieri. «La principale minaccia alla stabilità della Libia è costituita da coloro che si rifiutano di consegnare le armi e le usano per i propri interessi personali», ha tuonato il premier Zeidan. Ma fino a che il precario esercito non sarà robusto e organizzato è davvero difficile che sia in grado di far rispettare la sua voce. Anche perché il tanto auspicato disarmo è di là da venire.

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