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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2013 alle ore 16:55.

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In ordine alla applicazione della Convenzione, la Corte ha rammentato che, in materia di condizioni detentive, i rimedi 'preventivi' e quelli di natura 'compensativa' devono considerarsi complementari e vanno quindi apprestati congiuntamente. Fermo restando che la migliore riparazione possibile è la rapida cessazione della violazione del diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti.

La stessa decisione adottata, con voto unanime, dalla Corte di Strasburgo ha fissato il termine di un anno perché l'Italia si conformi alla sentenza ed ha stabilito di sospendere, in pendenza di detto termine, le procedure relative alle "diverse centinaia di ricorsi proposti contro l'Italia"; ricorsi che, in assenza di effettiva, sostanziale modifica della situazione carceraria, appaiono destinati a sicuro accoglimento stante la natura di sentenza pilota.

Il termine annuale decorre dalla data in cui la sentenza è divenuta definitiva, ossia dal giorno 28 maggio 2013, in cui è stata respinta l'istanza di rinvio alla Grande Chambre della Corte, presentata dall'Italia al fine di ottenere un riesame della sentenza. Pertanto, il termine concesso dalla Corte allo Stato italiano verrà a scadere il 28 maggio del 2014.
Vale la pena di ricordare che la sentenza del gennaio scorso segue la pronunzia con cui quattro anni fa la stessa Corte europea aveva già giudicato le condizioni carcerarie del nostro Paese incompatibili con l'art. 3 della Convenzione (Sulejmanovic contro Italia, 16 luglio 2009), ma non aveva ritenuto di fissare un termine per l'introduzione di idonei rimedi interni. Anche perciò ho dovuto mettere in evidenza - all'atto della pronuncia della recente sentenza "Torreggiani" - come la decisione rappresenti "una mortificante conferma della perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena e nello stesso tempo una sollecitazione pressante da parte della Corte a imboccare una strada efficace per il superamento di tale ingiustificabile stato di cose".

L'art. 46 della Convenzione europea stabilisce, invero, che gli Stati aderenti "si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti". Tale impegno, secondo l'interpretazione costante della Corte costituzionale (a partire dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007), rientra nell'ambito dell'art. 117 della Costituzione, secondo cui la potestà legislativa è esercitata dallo Stato "nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". In particolare, la Corte costituzionale ha, recentemente, stabilito che, in caso di pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo che accertano la violazione da parte di uno Stato delle norme della Convenzione, "è fatto obbligo per i poteri dello Stato, ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinché gli effetti normativi lesivi della Convenzione cessino".

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