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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2013 alle ore 16:55.

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Orbene, dagli ultimi dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) del Ministero della Giustizia - aggiornati al 30 settembre 2013 - risulta che il numero di persone detenute è pari a 64.758, mentre la "capienza regolamentare" è di 47.615.
Secondo i dati statistici relativi alla percentuale dei detenuti sul totale della popolazione dei diversi Paesi, pubblicati dal Consiglio d'Europa, nell'anno 2011 in Italia vi erano 110,7 detenuti ogni 100.000 abitanti. Nel confronto con gli altri Paesi europei tale dato è sostanzialmente pari a quello della Grecia e Francia (rispettivamente, 110,3 e 111,3) e viene superato da Inghilterra e Spagna (entrambe oltre quota 150). Peraltro, l'Italia - nello stesso anno 2011 - si posizionava, tra i Paesi dell'Unione Europea, ai livelli più alti nell'indice percentuale tra detenuti presenti e posti disponibili negli istituti penitenziari (ossia l'indice del "sovraffollamento carcerario"), con una percentuale pari al 147%. Solo la Grecia ci superava con il 151,7%.

Per il 2012 non sono ancora disponibili i dati del Consiglio d'Europa; da una ricerca di un'organizzazione indipendente (International Center for prison studies), risulta comunque confermato l'intollerabile livello di congestione del sistema carcerario italiano che, nonostante una riduzione percentuale rispetto all'anno precedente, ha guadagnato il - non encomiabile - primato del sovraffollamento tra gli Stati dell'Unione Europea, con la percentuale del 140,1%, mentre la Grecia ci seguiva con un indice pari al 136,5%.

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E vengo ai rimedi prospettati o già in atto. Per risolvere la questione del sovraffollamento, si possono ipotizzare diverse strade, da percorrere congiuntamente.

A) RIDURRE IL NUMERO COMPLESSIVO DEI DETENUTI, ATTRAVERSO INNOVAZIONI DI CARATTERE STRUTTURALE QUALI :
1) l'introduzione di meccanismi di probation. A tale riguardo, il disegno di legge delega approvato dalla Camera e ora all'esame del Senato, prevede, per taluni reati e in caso di assenza di pericolosità sociale, la possibilità per il giudice di applicare direttamente la "messa alla prova" come pena principale. In tal modo il condannato eviterà l'ingresso in carcere venendo, da subito, assegnato a un percorso di reinserimento;
2) la previsione di pene limitative della libertà personale, ma "non carcerarie". Anche su questo profilo incide il disegno di legge ora citato, che intende introdurre la pena - irrogabile direttamente dal giudice con la sentenza di condanna - della "reclusione presso il domicilio";
3) la riduzione dell'area applicativa della custodia cautelare in carcere. A tale proposito, dai dati del DAP risulta che, sul totale dei detenuti, quelli "in attesa di primo giudizio" sono circa il 19%; quelli condannati in primo e secondo grado complessivamente anch'essi circa il 19%; il restante 62% sono "definitivi" cioè raggiunti da una condanna irrevocabile. Nella condivisibile ottica di ridurre l'ambito applicativo della custodia carceraria è già intervenuta la legge n. 94 del 2013, di conversione del decreto legge n. 78 del 2013, che ha modificato l'articolo 280 del codice di procedura penale, elevando da quattro a cinque anni di reclusione il limite di pena che può giustificare l'applicazione della custodia in carcere;

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