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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2013 alle ore 06:45.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:38.

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Vede, la questione è più complessa e non si può ridurre solo a una ricerca dei colpevoli. È ovvio che, se oggi aspettiamo l'esito di un aumento di capitale fatto d'urgenza e al rebus sulla partecipazione di Air France, degli errori da parte nostra siano stati fatti.

Può essere più specifico? È più alta la responsabilità dei soci o quella del management?
Se partiamo dal presupposto che esiste una differenza sostanziale tra il numero di passeggeri trasportati da Alitalia e il suo bacino potenziale di mercato, allora possiamo dire questo: Alitalia ha un ottimo management se si considerano come tali i piloti, i caposcali, il personale di volo, i responsabili della "macchina" e degli investimenti in tecnologia. Al contrario, oggi posso dire che negli anni passati abbiamo commesso degli errori di valutazione su altri fronti, pagandone poi le conseguenze: l'area commerciale, il marketing e persino la comunicazione non sono stati all'altezza della sfida che avevamo davanti. In questo senso, abbiamo forse mancato di visione anche nella scelta dell'amministratore delegato più idoneo per il rilancio della compagnia: Sabelli si è concentrato nella generazione dei ricavi collaterali al servizio aereo con ottimi risultati, ma poi ci siamo resi conto che la vera criticità riguardava il core business, cioè rotte e destinazioni. La svolta non è arrivata neppure con Ragnetti, ma a quel punto la situazione del gruppo era già critica: ora è Gabriele del Torchio che sta cercando di rimettere ordine nelle strategie e rendere appetibile la compagnia ai potenziali partner internazionali. È bene ricordare, però, che rispetto alla vecchia Alitalia la nostra ha problemi diversi: allora affondava sui costi, oggi non ha abbastanza ricavi.

Quindi, soci assolti?
Non dico questo. E comunque tutti dovrebbero ricordare che i soci di Cai hanno investito più di un miliardo di propria tasca. Ma non voglio sottrarmi alla domanda. Il nostro errore più grande, forse il mio errore più grande, è stato quello di aver sopravvalutato la potenzialità della compagnia emersa dalla privatizzazione del 2008. Noi credevamo che la ristrutturazione avviata con la cessione a Cai avrebbe cambiato il Dna di Alitalia in poco tempo, trasformandola in quattro anni in una compagnia snella e redditizia. Non è stato così. Quattro anni non sono bastati per ridarle lo slancio e la redditività, ma solo per rendere Alitalia una macchina più gestibile e potenzialmente redditizia: noi riteniamo che il 2016 sarà l'anno del pareggio dei conti di Alitalia. Ma è chiaro che senza un partner estero per coprire le rotte a lungo raggio, le possibilità di successo a medio-lungo termine sono molto esigue. Oggi sono le dimensioni che contano, tanto per noi quanto per le low cost, il cui modello di business è molto più in difficoltà di quanto molti pensano.

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