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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2013 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 08 novembre 2013 alle ore 08:11.

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Da oggi, però, sappiamo anche con sicurezza che la Bce è vigile anche rispetto al terzo tipo di rischio: il rischio deflazione. Ancora una volta, è la storia - anche quella recente giapponese - a ricordarci che una buona banca centrale combatte con la stessa intransigenza sia il rischio inflazionistico che quello deflazionistico. Mario Draghi ha ribadito la regola monetaria: la banca centrale si muove quando c'è il rischio, verso l'alto ma anche verso il basso, che il sentiero della crescita dei prezzi sia tossico per la crescita economica. Questo è invece un messaggio che non piace ai falchi - qualcuno direbbe teutonici - che coltivano l'ossessione - speculare a quella delle colombe - che la credibilità e l'efficacia di una banca centrale coincidano con la rigidità della politica monetaria. Invece la regola di Draghi, dato l'obiettivo principale della stabilità monetaria, tiene conto di tutti gli squilibri, reali e finanziari.

La regola di Draghi è una bussola per i mercati, ma anche per i responsabili delle politiche economiche europee, nazionali e comunitarie. La politica monetaria può avere effetti - peraltro non permanenti - sulle variabili finanziarie più vicine al controllo della banca centrale, come quelle legate alle condizioni di rifinanziamento delle banche, ovvero a tutti quei contratti dei mercati bancari e finanziari automaticamente legate ad essa. Ma la politica monetaria nulla può su tutte le divergenze e frammentazioni - a partire da quelle dello stesso mercato bancario - che sono il frutto diretto o indiretto della incapacità di definire e mettere in atto le politiche strutturali di miglioramento della struttura dell'economia reale e del lavoro. Permane così il paradosso - ricordato dallo stesso Draghi - di una Unione che ha conti aggregati - pubblici e privati, interni ed esterni - robusti e certo migliori di altre regioni - come gli Stati Uniti - ma azzoppata dalle miopie nazionalistiche e settoriali.

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