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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2013 alle ore 08:48.

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Il paradigma biologico che informa la storiografia artistica ebbe dunque le sue radici nel seno stesso della cultura greca, e attraverso Plinio ha raggiunto Ghiberti, Vasari, Scaligero, Winckelmann. Questo paradigma s'impernia su due idee opposte e simmetriche: da un lato il progresso e la crescita dell'arte, dal l'altro, la sua decadenza e morte. La storia della tragedia secondo Aristotele aveva, lo abbiamo visto, uno sviluppo unidirezionale, tutto in crescita, bloccandosi nel momento della sua perfezione. Il suo scolaro Dicearco di Messina vi aggiunse l'idea della senescenza, seguita da un'inevitabile catastrofe finale; ma né lui né altri scrittori di età classica misero a punto un modello che dopo la catastrofe contemplasse una rinascita. Tuttavia, Aristotele accenna nella Metafisica che «è verosimile che ogni arte e ogni filosofia sia stata trovata e condotta al massimo sviluppo molte volte, per poi perdersi di nuovo».
L'idea di una rinascita delle arti, quale venne formandosi tra Quattro e Cinquecento, ebbe dunque una doppia origine: da un lato, presuppone e rimaneggia il paradigma biologico ereditato dalle fonti antiche; dall'altro, innestandosi sulle ricorrenti idee di renovatio morale, religiosa e politica, proprie della spiritualità cristiana, trasforma e rifunzionalizza il paradigma biologico aggiungendovi una fase di ri-nascita, a cui il rimando latente alla resurrezione di Cristo conferisce una straordinaria densità metaforica: è anche per questo che facciamo ancora i conti con il Rinascimento.
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