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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2013 alle ore 16:23.
L'ultima modifica è del 12 dicembre 2013 alle ore 17:14.

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Acque indiane sempre più pericolose per le guardie armate incaricate di proteggere i mercantili dalla minaccia della pirateria. Se il caso dei fucilieri di Marina italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre si trascina ormai da quasi due anni, un episodio simile coinvolge da due mesi 10 marinai indiani e 25 guardie private di nazionalità britannica, ucraina ed estone. La nave su cui viaggiavano, la Seaman Guard Ohio, battente bandiera della Sierra Leone ma di proprietà della società di sicurezza marittima privata statunitense AdvanFort, è stata bloccata il 12 ottobre dalla Guardia Costiera indiana al largo delle coste del Tamil Nadu, Stato meridionale della Federazione e costretta a raggiungere il porto di Tuticorin.

La AdvanFort ha denunciato l'inganno delle autorità costiere indiane che hanno invitato la nave, che si trovava a 19 miglia dalla costa, ad entrare nelle acque territoriali per ripararsi da un ciclone segnalato in arrivo nella zona per poi bloccarla a circa 11 miglia dall'isola di Vilangushuli contestando la presenza non autorizzata di personale armato a bordo. I dieci uomini d'equipaggio e i 25 contractors sono stati arrestati il 18 ottobre con l'accusa di ingresso non autorizzato nelle acque territoriali e detenzione illegale di armi e munizioni dopo che a bordo sono stati sequestrati 35 fucili e 5.680 proiettili.

Per risolvere il caso sono intervenute, per ora senza successo, le autorità diplomatiche statunitensi, britanniche ed estoni, mentre una nutrita squadra di avvocati ne ha preso le difese cercando di far riconoscere dal tribunale il cosiddetto "passaggio innocente", cioè il transito senza dolo di una nave con uomini armati a bordo previsto dalla Convenzione Onu di Montego Bay. A similitudine con il caso italiano (anche la petroliera Enrica Lexie con i marò a bordo venne invitata a entrare nel porto di Kochi con la scusa del riconoscimento dell'imbarcazione pirata che aveva tentato un avvicinamento sospetto) gli avvocati dei contractors hanno rilanciato l'accusa del presidente di AdvanFort, William H. Watson, secondo cui la nave è stata fatta entrare nelle acque territoriali indiane e poi in porto con l'inganno adducendo il rischio meteo per un ciclone che non ha mai colpito quell'area.

Nella vicenda è intervenuto a fine novembre anche il ministro degli Esteri britannico, William Hague, chiamato a rispondere in un dibattito ai Comuni, che ha ribadito le iniziative diplomatiche in corso e le proteste espresse dal premier David Cameron al capo del governo indiano Manmohan Singh e al ministro degli Esteri indiani Salman Khurshid.
Marinai e guardie sono detenuti in carcere insieme a criminali comuni, prima nella prigione di Tiruneveli poi in quella di Chennai, come hanno denunciato i famigliari dei sei contractor britannici i quali, a ennesima similitudine con il caso Latorre-Girone, hanno creato un comitato di sostegno che preme sul governo di Londra e ha già raccolto decine di migliaia di firme di sostegno. Una prima richiesta di libertà provvisoria è stata respinta a fine ottobre dal tribunale di Tuticorin mentre una seconda è all'esame dell'Alta Corte di Madras.

"Carnefice" di militari e guardie private impegnati a contrastare i pirati, l'India è divenuta per ironia della sorte anche una vittima della disinvolta applicazione delle leggi marittime da parte di altri Paesi. Nel luglio scorso la petroliera indiana Ocean Centurion venne assalita dai pirati mentre navigava nelle acque dell'Africa Occidentale a 45 miglia dalle coste del Togo. Meno organizzati e "professionali" dei loro colleghi somali (e soprattutto privi di "tortughe" sicure) i pirati del Golfo di Guinea si sono limitati a razziare denaro e oggetti di valore e a lasciare la nave. Subito dopo il comandante indiano, Sunil James di Mumbai, si è diretto nel porto di Lomè per segnalare l'attacco.

Nave ed equipaggio sono stati invece fermati dalle autorità del Togo con l'accusa di ''complicità con i pirati''. A settembre la petroliera era stata dissequestrata con a bordo 20 marinai indiani ma la polizia di Lomé aveva trattenuto il capitano e due ufficiali ''per accertamenti'' ulteriori. Anche in questo caso la famiglia di Sunil James ha rivolto pressanti appelli al governo di Nuova Delhi mobilitando i media. La moglie Aditi ha organizzato una raccolta di firme denunciando le terribili condizioni in cui si trovava il marito costretto a vivere in una cella con decine di altri carcerati e senza alcuna assistenza da parte della diplomazia indiana.

Solo pochi giorni or sono James ha potuto ricevere la visita di personale diplomatico indiano e martedì anche il premier Manmohan Singh si è impegnato con la famiglia del capitano a "fare tutto il possibile" per farlo tornare a casa. A rendere ancora più penosa la situazione di James ha contribuito il 2 dicembre la morte per setticemia del figlio di appena 11 mesi. La diplomazia indiana si è rivolta al tribunale di Lomè presentando una richiesta di scarcerazione sulla base di ragioni umanitarie.

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