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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2013 alle ore 16:48.
L'ultima modifica è del 15 dicembre 2013 alle ore 21:10.

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Come si vede la terminologia è molto ampia e di fatto copre ogni utilizzo possibile e immaginabile (anche semplice link, indicizzazione, citazione parziale) di contenuti giornalistici di ogni tipo, dagli articoli o spezzoni televisivi. Si dà inoltre compito ad Agcom- un nuovo potere, che si somma a quello sul diritto d'autore appena sancito con la nuova delibera- di stabilire il prezzario per questo utilizzo.

È un terremoto rispetto alla prassi attuale. Com'è noto, i motori di ricerca indicizzano tutto fino a prova contraria, senza chiedere autorizzazioni; editori o gestori di una qualsiasi pagina possono decidere di escludere le proprie pagine dall'indicizzazione. Youtube invece elimina in automatico o su segnalazione il materiale protetto da diritto d'autore di editori tv o altri soggetti.

La novità starebbe quindi nell'accordo preventivo e nell'obbligo di pagare gli editori per usare quei contenuti. È prevedibile che i motori di ricerca e altre piattaforme, piuttosto che pagare, reagiranno escludendo a priori tutti i siti giornalistici.

È stata sempre questa, del resto, la posizione di Google ogni volta che è stata ventilata un'ipotesi simile in altri Paesi. Finora solo la Germania ci ha provato, con una legge, che ha però un effetto meno importante rispetto a quella italiana. Il Bundestag, il parlamento tedesco, ha approvato la cosiddetta lex Google, che impone ai motori di ricerca e agli aggregatori di notizie di pagare una tassa di licenza per la pubblicazione dei contenuti editoriali sui rispettivi siti. Nella versione definitiva della legge è stato tuttavia inserito un passaggio per consentire la pubblicazione di singole parole o di parti ridotte dei testi. Di fatto lascia inalterato così lo status quo.

Non c'è la stessa "scappatoia" nella normativa italiana e quindi ora la parola, eventualmente, spetterà al Parlamento nella fase di conversione del decreto in legge. Per altro, il testo della norma italiana non tiene conto del diritto di citazione da parte di qualsiasi utente sul proprio sito o pagina Facebook, aprendo la via a possibili controversie e rischi di (auto)censure. In altre parole, come se fosse una macchina del tempo tarata su tempi pre-internet, la norma non tiene conto della prassi dei social network e del web 2.0.

Ampie le ricadute potenziali anche del regolamento Agcom, che scatta a marzo 2014. L'Autorità, su segnalazione dei detentori di diritto d'autore, chiederà ai soggetti responsabili di rimuovere contenuti pirata presenti sul web. In caso di rifiuto, ordinerà agli hosting provider o ai provider d'accesso internet rispettivamente di rimuovere il contenuto dai propri server o di oscurare il sito. La procedura durerà 35 giorni e l'ordine andrà eseguito in cinque giorni (i tempi scendono a dodici e tre giorni nei casi più gravi e urgenti). I provider rischiano fino a 250 mila euro se non ubbidiscono.

Anche questa è una norma che ha impatto sui big del web e infatti a quanto risulta Google e altri sono pronti a impugnarla al Tar del Lazio. Li riguarda direttamente la web tax, inoltre, com'è noto: presente all'interno della Legge di Stabilità (ancora non approvata, a differenza delle altre due norme). Prevede l'obbligo di acquisto di pubblicità o servizi di e-commerce da operatori con partita Iva italiana ma anche un calcolo del reddito da tassare in Italia basato non sui costi sostenuti ma su altri indicatori di profitto. A questo si aggiunge il vincolo di tracciabilità nei pagamenti di servizi pubblicitari sulla rete.

Completa il quadro l'aumento - pure previsto nella Legge di Stabilità - per l'equo compenso Siae per il diritto alla copia privata su dispositivi elettronici. Il testo prevede che venga allineato alla media europea e quindi rincarato - secondo le prime stime - di circa il 70 per cento.

Sarà poi un decreto un decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ad aggiornare i compensi previsti per ciascun dispositivo, i cui prezzi quindi aumenteranno al pubblico: smartphone, memorie, hard disk, computer, tablet.

«Dobbiamo subito ribadire che nuovi aggiuntivi balzelli non farebbero che penalizzare ulteriormente l'innovazione tecnologica», ha commentato Cristiano Radaelli, presidente di Anitec, l'Associazione Nazionale Industrie Informatica. «Se implementata, questa richiesta si trasformerebbe, di fatto, in un costo aggiuntivo che graverebbe sui consumatori e sulle famiglie, generando il concreto rischio di allargare il digital divide italiano».

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