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Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2013 alle ore 08:48.
L'ultima modifica è del 16 luglio 2014 alle ore 12:32.

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Il 2 luglio del 1995 il comando dell'esercito serbo-bosniaco dirama l'ordine di attaccare le forze dell'Onu che difendono Srebrenica, con l'intento di avere mano libera per la pulizia etnica dell'enclave musulmana. La città era sottoposta a un regime speciale dal 1993, con l'accordo che porta alla creazione di cinque "aree sicure" dove far affluire la popolazione civile delle zone circostanti. A Srebrenica era di stanza un reparto olandese sotto l'egida delle Nazioni Unite, il Dutchbat, costituito da circa 400 uomini, che finiscono sotto il fuoco dei mortai e vengono obbligati ad abbandonare una serie di postazioni di osservazione.

Il 12 luglio le forze serbo-bosniache iniziano una serie di rastrellamenti che porteranno alla cattura di oltre diecimila musulmani: si tratta di uomini, donne e bambini, molti dei quali sono in cattive condizioni di salute per il lungo assedio e la mancanza di cibo e medicinali, che cercano di fuggire da Srebrenica per mettersi in salvo. Verranno divisi in gruppi, gli uomini separati dalle donne e dai bambini, portati in luoghi di esecuzione e poi sepolti in improvvisate fosse comuni. L'11 agosto del '95 il segretario di Stato americano Madeline Albright presenta al Consiglio di sicurezza dell'Onu una serie di immagini della ricognizione aerea che mostrano chiaramente i segni del massacro e della pulizia etnica. Immediatamente dopo l'esercito serbo-bosniaco conduce una vasta operazione di "cover-up" scavando le fosse con i bulldozer, estraendo i corpi che vengono smembrati e poi riseppelliti in almeno 70 siti sparsi nella Bosnia orientale. L'ultimo è stato scoperto nell'ottobre di quest'anno a Tomašica e si stima che contenga almeno mille cadaveri.

Bosnia's million bones, di Christian Jennings, cerca di ricostruire i motivi che hanno portato a questa disumana mattanza, ma soprattutto l'enorme sforzo per tentare di ridare a questi corpi un'identità. Nel 2000 infatti la Commissione internazionale per le persone scomparse (Icmp), che ha sede a Sarajevo, inizia una gigantesca opera di identificazione utilizzando le tecniche del Dna forense: i resti trovati nelle fosse sono stati catalogati osso per osso, analizzati in laboratorio e infine ricomposti. Ad oggi è stato possibile ricostruire l'identità di 6.850 individui sugli 8.100 scomparsi a Srebrenica. In molti casi i resti di una sola persona erano sparsi in quattro o cinque fosse molto distanti l'una dall'altra. Per portare a termine quella che viene considerata la più grande campagna di antropologia forense che si ricordi è stato necessario acquisire un elevatissimo numero di campioni biologici da persone in vita: a oggi i donatori sono 86.650, in genere si tratta di familiari delle vittime che hanno acconsentito a un prelievo di sangue. A sostenere fortemente questa raccolta di campioni è stata soprattutto l'Associazione delle madri di Srebrenica di cui è vicepresidente Kada Hotic, una musulmana bosniaca che ha perso il marito, un figlio, due fratelli e un cugino nei rastrellamenti del '95.
Il lungo lavoro dell'Icmp ha fornito solidi capi d'accusa per inchiodare i mandanti e gli esecutori della sanguinosa campagna di pulizia etnica di Srebrenica: Radovan Karadžic´ è stato arrestato a Sarajevo il 21 luglio del 2008, mentre il comandante delle forze serbo-bosniache, Ratko Mladic´ viene catturato il 26 maggio del 2011 a Lazarevo: entrambi sono stati estradati in Olanda e sono sotto processo per genocidio e crimini di guerra presso il Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia.

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