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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2014 alle ore 06:38.

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Tutto ciò non impedì ad Agnelli di fare tesoro della consulenza di tecnici americani nella costruzione del grandioso stabilimento di Mirafiori, a struttura orizzontale, inaugurato nel maggio 1939. Inoltre, durante la seconda guerra mondiale, alcuni suoi dirigenti di matrici ebraiche, dislocati negli Stati Uniti dopo le leggi razziali del 1938, mantennero in via riservata, sotto le insegne di un'European American Trade Development Corporation, rapporti con esponenti di varie imprese. E queste relazioni, insieme a quelle mai interrottesi del tutto con la Banca Morgan, risultarono preziose per la ripresa della Fiat di Valletta dopo il 1945.
Sarebbero poi passati quarant'anni, con nel mezzo la motorizzazione di massa in Italia e lo storico accordo del 1966 con l'Unione Sovietica per l'impianto della fabbrica automobilistica di Togliattigrad, prima che tornasse a delinearsi nel 1985, con l'Avvocato ormai di casa da un pezzo negli Stati Uniti, la prospettiva di un accordo fra Torino e Detroit. In base alla coproduzione di alcune componenti, poi alla realizzazione di un nuovo modello di autovettura, e infine, alla fusione fra la Fiat Auto e la Ford Europe. Questa costituenda società sarebbe stata in grado di coprire più d'un quarto del mercato europeo. Senonché, mentre dalla Ford si era disposti ad affidarne la direzione operativa a Vittorio Ghidella, non s'intendeva lasciarne il controllo azionario alla Fiat e neppure a sottoscrivere una soluzione di compromesso a condizioni paritarie con un 2% in mano alla banca d'affari Lazard.
S'infranse così il sogno dell'Avvocato di poter divenire un giorno o l'altro un importante azionista della stessa Ford americana. E all'inizio del nuovo secolo toccò a lui negoziare, in un frangente estremamente difficile per la Fiat, un accordo d'emergenza con la General Motors che parve l'epilogo per l'autonomia dell'ammiraglia del capitalismo italiano, dopo cent'anni dalla sua nascita. Fu poi suo fratello Umberto a disdirlo e a designare, proprio alla vigilia della sua scomparsa nel 2004, Sergio Marchionne alla guida della Casa torinese con a fianco John Elkann.
Da quando nel 2009 la Fiat entrò con un 20 per cento in Chrysler, ci sono voluti cinque anni per giungere a concludere nel migliore dei modi, grazie a una sagace strategia sia finanziaria che produttiva, la sua lunga marcia negli Stati Uniti iniziata quasi un secolo fa. E il felice esito di questo percorso risulta oggi tanto più significativo, e augurale per un rilancio del sistema Italia, in quanto coincide con l'avvento a sindaco di New York di Bill de Blasio, un altro figlio di nostri emigranti a essere eletto alla massima carica della «Grande Mela», dopo Fiorello La Guardia e Rudolph Giuliani.
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