Il Sole 24 Ore
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10 gennaio 2014

Non solo Cota, i ricorsi sulle firme false fioccano da Nord a Sud

di Michela Finizio


I ricorsi per contestare i risultati elettorali non hanno colore o partito politico. Dal Pdl al Pd, passando per la Lega, sono numerosi le inchieste avviate negli ultimi anni sul territorio italiano che mettono – o hanno messo in crisi – i risultati delle urne. Anti-politica o reale corruzione del sistema elettorale, fatto sta che i ricorsi fioccano. E non sono solo i Radicali, che da tempo rappresentano queste battaglie legali, a presentare gli esposti che danno avvio alle indagini.

Per ultima, a fine ottobre, è stata assolta perché il fatto non sussiste Monica Perugini, ex segretario di Sinistra Popolare, finita a processo per falso ideologico e falso materiale in relazione al giallo delle firme raccolte per le elezioni amministrative di Mantova nel 2010. In sostanza, secondo il capo d'accusa, la Perugini avrebbe raccolto all'Arci Salardi 25 firme per la candidatura a primo cittadino di Fiorenza Brioni, ex sindaco di Mantova, e di averle poi utilizzate per se stessa a sostegno della propria candidatura. Il processo, trascinatosi per tre anni, era stato avviato in seguito ai primi sospetti del referente della lista antagonista, per la Sinistra Unita a Mantova, Claudio Balestrieri, che aveva trasmesso tutto il materiale in Procura.

A Milano, a partire della decisive denunce di Radicali italiani, è ancora in corso il processo per le 700 firme false per le liste Formigoni alle regionali lombarde, nel quale tra gli imputati figura anche Guido Podestà, il presidente Pdl della giunta della Provincia di cui fa parte Silvia Garnero. Anche quest'ultima, la più giovane assessore provinciale d'Italia, 25 anni, è stata indagata a Milano per falso in atto pubblico nell'autenticazione delle firme per i referendum radicali sulla giustizia: nipote della parlamentare Daniela Santanchè, è finita nel mirino per aver autenticato 14 firme (per ciascuno dei 6 referendum) di persone che invece le hanno disconosciute (13 su 14, perché uno sarebbe un morto).

Anche se la vicenda Formigoni è stata superata dalla storia, con le elezioni dell'attuale presidente della Lombardia, il governatore Roberto Maroni, i ricorsi però non si sono fermati. Il consigliere provinciale monzese della Lega Nord Giuliano Beretta è stato indagato per falso dalla procura di Monza, con l'accusa di aver falsamente autenticato circa 900 firme raccolte nella circoscrizione Monza e Brianza a sostegno della lista Maroni Presidente alla Regione Lombardia. L'inchiesta era stata avviata dal Pm Franca Macchia in seguito alla denuncia presentata qualche settimana fa dai Radicali.

A marzo 2013, inoltre, è stata condannata a un anno e tre mesi, pena sospesa, Erika Faienza, consigliera provinciale Pd di Torino ritenuta responsabile di falso in violazione della legge elettorale. Per l'accusa, sostenuta dal pm Patrizia Caputo, la stessa del più famoso caso Giovine, avrebbe autenticato delle firme per la lista Piemonte Europa Ecologia a sostegno di Piero Fassino, in occasione delle ultime elezioni comunali, senza però essere presente. Assistita dall'avvocato Giampaolo Zancan, Faienza ha sempre negato la circostanza.

A ottobre 2013, infine, due ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari sono state emesse a Lodi dal gip Alessandra Del Corvo a seguito dell'inchiesta avviata nel gennaio 2012 da Polizia e Carabinieri lodigiani sulla presentazione di false firme di sostegno per la lista La Destra, che faceva capo a Francesco Storace, in vista delle elezioni politiche. Tutto è cominciato quando alcuni rappresentanti de La Destra, veri o falsi ancora non è chiaro, hanno chiesto all'ufficio elettorale del Comune di Lodi il rilascio dei certificati di iscrizione alle liste elettorali di più di 500 cittadini. Gli elenchi dei sottoscrittori della lista guidata da Storace sono però risultati irregolari e perciò l'ufficio elettorale ha inviato una segnalazione alla procura.

Nel 2010 ad una firma era rimasto appeso anche il listino collegato alla candidata del centrodestra Renata Polverini, che a pochi giorni dalla consultazione elettorale per le regionali del Lazio la Corte d'Appello aveva fatto saltare per «impedimento burocratico»: al listino, poi riammesso, mancava la firma di uno dei rappresentanti di lista.

Dal Lazio alla Lombardia il caos sulle consultazioni elettorali non è mai arrivato all'annullamento dei risultati, come è accaduto per le regionali del Piemonte. In corso, archiviate oppure concluse con condanne ad esponenti non rilievo o esterni alla politica, spesso le battaglie legali sono state avviate tramite i ricorsi dei Radicali. Fatto sta che ora l'esito dell'inchiesta sulle elezioni regionali in Piemonte oggi fanno riflettere sul sistema di raccolta delle firme per i listini elettorali: in un clima che sempre più spesso cavalca l'antipolitica e la sfiducia nelle istituzioni, le tante inchieste avviate sul territorio mettono in crisi l'intero assetto istituzionale.


10 gennaio 2014