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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2014 alle ore 14:07.
L'ultima modifica è del 23 gennaio 2014 alle ore 14:18.

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Microsoft ha deciso di dare la possibilità ai clienti non americani di conservare i dati personali in server fuori dai confini degli Stati Uniti, di fatto andando contro alle decisioni degli altri colossi informatici statunitensi che si erano opposti a questa possibilità. Brad Smith, a capo dell'ufficio legale del gruppo fondato da Bill Gates, ha detto che la scelta è stata presa dopo lo scandalo Datagate svelato dalla talpa Edward Snowden: il governo Usa aveva infatti controllato dati di utenti Microsoft brasiliani ed europei, creando non pochi grattacapi all'amministrazione Obama.

«I nostri utenti devono avere la possibilità di sapere se i loro dati personali sono soggetti alle leggi e al controllo di altri stati e devono avere la capacità di fare una scelta consapevole sapendo dove risiedono le loro informazioni» ha detto Smith al Financial Times. Lo scandalo che ha travolto la National Security Agency ha causato diverse tensioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e i suoi più stretti alleati, a partire dal Brasile e dalla Germania. Tuttavia i colossi hi-tech sostengono che spostare i dati nei singoli stati e sottoporli alle leggi locali rischia di "balcanizzare" Internet, spezzettandolo in tanti tasselli sottoposti a direttive regionali o nazionali.

La mossa del gruppo con sede a Redmond, stato di Washington, è stata accolta in modo positivo dalle associazioni che si battono per la privacy. La scelta del colosso segue una nota diffusa un mese fa dai più grandi gruppi Internet americani in cui si sosteneva di non volere conservare i dati nei singoli Stati di appartenenza degli utenti, come aveva chiesto il Brasile.

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