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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2014 alle ore 06:45.

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Durante una delle udienze più importanti del processo sul Monte dei paschi di Siena, l'imputato Gianluca Baldassarri, ex responsabile dell'area finanziaria della banca, si difende dall'accusa di aver ostacolato, nel 2009, i controlli di Bankitalia sui derivati sottoscritti con Nomura. Sottolineando che nessun organo di vigilanza chiese mai conto delle operazioni.
È in corso nel tribunale di Siena il rito immediato su uno dei fascicoli dell'indagine su Mps, relativo al reato di ostacolo alla vigilanza. Oggetto del dibattito è il prodotto strutturato Alexandria, sottoscritto con la banca giapponese prima nel 2005 e poi rinegoziato tra il 2008 e il 2009, contestualmente all'acquisizione da parte del Monte di banca Antonveneta. Secondo gli inquirenti - i procuratori Antonio Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso e gli uomini del nucleo valutario della Gdf - la ristrutturazione del prodotto venne realizzata tenendo nascosto nella cassaforte dell'ex dg Antonio Vigni il "mandate agreement", contratto che in sostanza avrebbe permesso agli organi di vigilanza di ricostruire un buco in bilancio da 700 milioni tra la prima e la seconda operazione, non visibile altrimenti. Il fine sarebbe stato "abbellire", secondo la procura senese, l'esercizio contabile per distribuire ancora dividendi e non far emergere l'esborso esagerato di risorse di cassa che l'acquisizione di Antonveneta (per 9,3 miliardi più 8 miliardi di debiti, senza una due diligence) aveva comportato.
Sotto accusa, in questo filone d'inchiesta, sono finiti l'ex presidente Giuseppe Mussari, l'ex dg Vigni e, appunto, l'ex responsabile finanziario Baldassarri, noto anche per essere il presunto capo della "banda del 5%", il gruppo di manager e di brooker che avrebbe intascato nel tempo commissioni illecite sui derivati bancari, nascondendoli in paradisi fiscali.
Baldassarri ieri, chiamato per la prima volta a parlare come imputato, ha dato la sua versione dei fatti: il mandate agreement non è stato mai «nascosto», bensì tenuto «riservato» fra i dirigenti; non si trattava di un contratto importante per la comprensione dei fatti, ma solo di un'intesa generica; Bankitalia non ha mai chiesto il documento.
Nel mandate, ha spiegato ieri Baldassarri in tribunale, «si legge cosa sarebbe successo se l'accordo tra le parti, raggiunto il 23 settembre 2009, non fosse stato sottoscritto. Da quel momento - ha detto - il documento non ha nessun significato. Non è possibile in base a questo che Nomura possa dare un euro al Monte dei Paschi, né il Monte dei Paschi a Nomura».
Inoltre ha precisato che di quel mandate, di cui dentro alla banca «molti erano a conoscenza» e che «non è mai stato nascosto», la clausola più importante è la 2.5, «quella che dice cosa succede se l'accordo non viene raggiunto, e cioè che Nomura ha il diritto di consegnarci gli asset swap sostitutivi e noi la teniamo indenne da costi aggiuntivi per l'attività di acquisto di titoli».
Quanto alle richieste di Bankitalia, Baldassarri sottolinea che «il mandate non gli fu mai richiesto. Ho dato solo il mio pezzetto. Il resto non spettava a me ma ad altri e io credevo che altri lo avessero fornito».
Intanto ieri un piccolo colpo di scena. L'avvocato di Baldassarri, Filippo Dinacci, dopo la sentenza della Cassazione depositata due giorni fa, che ha annullato l'interrogatorio di garanzia di Baldassarri del 16 febbraio 2013, e quindi l'arresto, ha chiesto la nullità del processo. Al legale l'accusa ha replicato confermando la validità degli atti. I giudici si sono riservati. Se venisse accolta l'eccezione, interesserebbe solo Baldassarri e non gli altri due imputati, Mussari e Vigni. Questi ultimi saranno chiamati a parlare mercoledì prossimo in tribunale.
Oggi infine si conoscerà la decisione del Tar del Lazio sul ricorso amministrativo con il quale l'ex presidente Mussari contesta la maxi multa da 541mila euro, inflittagli da Bankitalia in merito alle presunte violazioni commesse sul Fresh, l'obbligazione convertibile in azione emessa, per un miliardo, nel 2008, grazie alla quale fu in parte finanziato l'acquisto di Antonveneta. Ieri il ricorso è stato discusso in camera di consiglio davanti alla III sezione del Tar, e i giudici si sono riservati di emettere oggi la loro ordinanza.
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