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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2014 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:57.

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La Francia ha sempre considerato l'Europa proiezione e dependence della sua grandeur. Ora che ha perso entrambe, non sa più che pesci pigliare. Vorrebbe un'altra Europa, meno tedesca di quella che si profila, ma non ha la forza per sbarrarle la strada e dunque per un po' la contesta ma poi regolarmente la subisce. La Spagna non ha dimenticato Carlo V, vuole tornare a splendere diventando la Germania del Mediterraneo, quindi corre da sola, armata da una ferrea volontà di rivincite nazionali.
E l'Italia in questa Europa dai nazionalismi ufficialmente rinnegati ma sempre più prepotenti, dalle istituzioni comuni indebolite dalle crescenti arroganze intergovernative che schiacciano qualsiasi residua aspirazione federalista, dal consenso popolare sempre più debole quando non dichiaratamente ostile? Qual è il suo posto, quali i suoi margini di manovra per ricomporre le tessere di un progetto in stato confusionale?

L'Italia oggi è da ricostruire, come l'Europa: nella credibilità politica, nella capacità di sviluppo economico e di aggregazione del consenso, interno e esterno. Senza proclami, con i fatti concreti. Il nostro paese, che pure in passato ha saputo osare nei suoi semestri europei lanciando prima il mercato e poi la moneta unica, questa volta arriva tramortito all'appuntamento con la presidenza Ue. Disorientato e incerto sulle ambizioni da perseguire, anche perché da euro-entusiasta che era, il più convinto dell'Unione, è diventato via via più euro-critico quando non scettico.
Allora combatterà sul serio e da solo la battaglia del 3% per sfondare il tetto del deficit da alcuni ritenuto la madre di tutti i malanni, della anemica crescita nostrana? Oppure imboccherà finalmente, come tutti, la strada delle riforme strutturali? E quanto "ius soli" e abolizione del reato di clandestinità per gli immigrati potranno diventare bandiere europee senza condannarci all'isolamento?

Parte da qui il nostro viaggio alla ricerca della nuova Europa e alla scoperta della nuova Italia che ne prenderà il timore. Alla vigilia del discorso che il presidente Giorgio Napolitano terrà oggi davanti all'emiciclo di Strasburgo, a 110 giorni da elezioni europee molto complicate, a 146 dal debutto di un semestre che rischia di dover gestire problemi più che grandi opportunità.
Come sempre molte cose si aggiusteranno se da fragile la ripresa europea si consoliderà e la crisi dell'euro non avrà ricadute. Basterà questo a far riconciliare per incanto l'Europa con se stessa e i suoi cittadini? I piccoli passi di sempre appaiono ormai inadeguati, se la macchina non risponde come dovrebbe agli stimoli della globalizzazione.

Bisognerebbe ritrovare la voglia di stare bene insieme, non per forza ma per convinzione collettiva suggellata da una solida legittimazione democratica. L'Europa ha dato pace e benessere e dà ancora tanto agli europei che la ignorano, la snobbano o la detestano. Oggi deve ricominciare da sé per tornare a vincere in casa e nel mondo. Ma non sarà facile perché quando si guarda allo specchio non si riconosce più, non vede leader né sogni né coerenti progetti per il futuro, lo sguardo appannato dall'oggi e purtroppo incapace di spingersi molto più in là.

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