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Questo articolo è stato pubblicato il 09 febbraio 2014 alle ore 08:17.

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ROMA. Dal nostro inviato
Un maxi-fondo pubblico da 15 miliardi, destinato a scattare automaticamente a garanzia di tutti i crediti di taglia medio-piccola e rifinanziato direttamente dalle banche e dalle imprese beneficiarie. Ormai assodato che anche un'eventuale bad bank non sarebbe la soluzione alle strette creditizie presenti e (probabilmente) future, dal Congresso Assiom Forex il presidente di Bnl Luigi Abete lancia una proposta, su cui ragiona da tempo, che non lascia indifferenti i banchieri radunati alla Fiera di Roma. Perché la sensazione di tutti, a partire dal governatore Visco, è che la ripresa – ora che è più vicina – da sola non basterà ad abbattere quel credit crunch "all'italiana" innescato dalla crisi.
Il problema, d'altronde, è nel manico. Cioè in quel tessuto economico composto da un lato di imprese piccole e mediamente sottocapitalizzate e dall'altro da banche ormai chiamate a competere su scala globale secondo regole dettate dall'Europa. «In questa nostra epoca, un'impresa-banca che rispetta parametri di prudente gestione ed economicità non può evidentemente finanziare diffusamente l'impresa piccola e medio-piccola, in un quadro concorrenziale globale rispetto a cui quella dimensione di impresa non ha, né può avere, una visibilità adeguata alle tendenze di mercato», ha detto ieri Abete. Che in Italia vede un equilbrio in passato capace di reggere grazie a un mercato del credito sostanzialmente segmentato per paesi, ma che ora non potrà più resistere alla prova dell'europeizzazione bancaria. Di qui la necessità di «andare oltre agli strumenti di garanzia esistenti», compreso quel Fondo centrale che finora ha dato ottima prova di sé, individuando «una modalità di garanzia generalizzata e collettiva a favore delle Pmi, che sia automatica e consistente». Due connotati, questi ultimi, che possono fare la differenza secondo Abete e tutti quei banchieri – in molti ricordano una proposta non molto lontana formulata nei mesi scorsi dal dg di UniCredit, Roberto Nicastro – che ritengono necessaria una nuova operazione di sistema a innesco pubblico ma sostanzialmente finanziata da banche e imprese: il primo passo dunque toccherebbe allo Stato, chiamato a impegnare («e non a stanziare», sottolinea Abete) una cifra di 10-15 miliardi, che da sola potrebbe agire come garanzia fino al 60% di 170 miliardi di prestiti, che è l'ammontare complessivo delle linee fino a 2,5 milioni censite da Bankitalia. Il fondo, poi, sarebbe rialimentato dalle banche e dalle imprese, con un prelievo di pochi punti base inserito nello spread dei nuovi affidamenti, in ogni caso destinati a costare meno di oggi visto che le banche si troveranno le linee coperte in maggioranza da garanzie pubbliche.
«In Francia, dove comunque il tessuto economico non è frammentato come in Italia, il sistema si è dotato di strumenti ad hoc capaci di avvicinare grandi banche e piccole imprese. Noi, invece, siamo indietro», ragiona Abete. Che vede, come tutti, il rischio concreto che la ripresa lasci a bocca asciutta «quelle migliaia di aziende che strutturalmente sono condannate a uscire dal radar delle banche», e così a perdere il treno della ripresa, della ricapitalizzazione, dell'innovazione. Certo, se l'iniziativa dovesse trovare spazio servirà un forte commitment pubblico, comunque non facile da costruire visto il clima politico tutt'altro che favorevole alle banche di questi tempi, a maggior ragione dopo la rivalutazione delle quote di Banca d'Italia: «Ma in ballo qui ci sono anzitutto le imprese, non le banche», rimarca Abete. A chi toccherà tenere le fila? L'idea, ancora una volta, è che sia la Cdp, con cui – si dice nel parterre del Forex – più di un contatto sarebbe avviato.
@marcoferrando77
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La morsa del credit crunch
Prestiti in picchiata e sofferenze in salita: secondo Banca d'Italia,
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