Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2014 alle ore 08:40.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:05.

My24

«Le azioni si pesano, non si contano». La famosa frase di Enrico Cuccia è attuale più che mai come dimostra l'assetto azionario che avrà Fiat-Chrysler e come conferma uno studio pubblicato a gennaio nella collana Quaderni Giuridici della Consob. Lo studio approfondisce il tema senza preconcetti e con grande ampiezza di analisi. È un passaggio chiave per tornare a ragionare di un argomento chiave per lo sviluppo del nostro Paese.

Le azioni a volto multiplo permettono ad alcuni azionisti di contare (pesare?) di più; gli esempi più tipici sono le categorie di azioni che permettono di nominare la maggioranza del consiglio di amministrazione, come in Ford, o che prevedono di moltiplicare il numero di voti dopo alcuni anni di possesso, come nel gruppo Louis Vuitton. Hanno meccanismi di voto multiplo anche giovani grandi aziende come: Google, Amazon, Facebook, Groupon, Linkedin.

Il principio "un'azione un voto" non è applicato in maniera rigida negli Usa, in Giappone e in Australia e in nessuno dei mercati finanziari della Ue. La ragione non è che il principio non sia corretto, esso va semplicemente adattato a mercati finanziari che hanno mutato il proprio Dna. Oggi grandi fondi d'investimento possiedono quote rilevanti di aziende ma non si può pensare che debbano avere la responsabilità diretta nella gestione. La tendenza a investimenti di breve termine è cresciuta a dismisura: il periodo medio di investimento in una quotata in Italia è sceso da più di sei anni nel 1991 a meno di un anno nel 2009.

Questi fatti e la crisi finanziaria, che ha smascherato alcuni eccessi, rendono un azionista di lungo termine interessato allo sviluppo dell'azienda un elemento chiave per la stabilità dell'impresa e per la fiducia degli investitori. Non sempre questo azionista ha i capitali per mantenere il controllo dell'impresa, soprattutto quando questa deve crescere e internazionalizzarsi: una ben ponderata disciplina sul voto multiplo potrebbe sprigionare la grande forza imprenditoriale delle nostre aziende che potrebbero guardare con rinnovato interesse alla quotazione. Le grandi famiglie imprenditoriali potrebbero tessere alleanze internazionali o avviare acquisizioni facendo leva sul maggior margine di manovra concesso; gli imprenditori che guidano le medie imprese, la base del nostro sistema industriale, potrebbero accedere al mercato finanziario per crescere e internazionalizzarsi, superando il blocco psicologico di controllare la loro azienda con il 51% o il 30% .

Nel nostro Paese le famiglie imprenditoriali controllano il 60% delle imprese quotate e il 55% di quelle con più di 50 milioni di fatturato; il fatto ancora meno noto è che queste percentuali non si discostano molto dal altri Paesi europei e dagli Stati Uniti.

Per queste imprese l'accesso al mercato finanziario è un vantaggio competitivo in quanto permette di raccogliere capitali a costi più bassi e in nei momenti più opportuni. Una maggior presenza di queste imprese sul nostro mercato finanziario lo renderebbe più liquido ed efficiente e sarebbe fonte di attrazione per i grandi investitori internazionali.

Comportamenti che danneggino la minoranza messi in atto da azionisti di maggioranza resi più forti e meno responsabili dal voto multiplo sono il vero rischio da controllare. È da considerare che l'insieme delle nostre norme di corporate governance è tra i migliori in Europa. Le istituzioni preposte, i grandi investitori istituzionali e gli amministratori indipendenti saranno i soggetti che potranno vigilare ed evitare comportamenti scorretti.

È evidente che si dovranno introdurre alcuni vincoli e maggiori presidi per far fronte ai casi patologici, come ben evidenzia lo studio della Consob, ma questo non dovrebbe scoraggiare dall'attuare una modifica del nostro codice che può permettere al nostro grande patrimonio di imprenditorialità di sprigionare la sua forza. Oggi abbiamo imparato a caro prezzo quanto pesava il 6% che Adriano Olivetti possedeva della sua Fabbrica, rispetto ad un restante 94% litigioso, assetato di potere e focalizzato sul breve termine.

Bernardo Bertoldi è docente di Economia e direzione delle imprese all'Università di Torino
bernardo.bertoldi@unito.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi