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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2014 alle ore 07:15.
L'ultima modifica è del 14 febbraio 2014 alle ore 14:55.

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Dopo la famosa tappa di Madonna di Campiglio, quando fu rispedito a casa per ematocrito troppo alto (52%), non riuscì più a ritrovare un suo centro di gravità. Non sopportava l'idea che lui, il Migliore, potesse essere punito per un punto, un miserabile punto, di ematocrito. Perché se la prendono con me? Questo è il mondo, così fan tutti, diceva. Che cosa vogliono questi giudici? Perché questo accanimento?

Ecco, qui si è spezzato il filo. Quel sottile aggancio con la realtà, con il mondo delle corse e con se stesso. Lo racconta anche Felice Gimondi: «Marco ha sbagliato. Dopo Madonna di Campiglio avrebbe dovuto fare come Eddy Merckx, quando fu trovato positivo. Eddy doveva stare fermo 30 giorni, ma chiese una deroga per ripartire in un Tour in cui indossò la maglia gialla dal primo fino all'ultimo giorno».

«Marco doveva fare come Eddy. Anzi, la cosa più bella che Marco poteva fare era quella di prendersi la bicicletta e affrontare apertamente tutto. E il pubblico l'avrebbe capito. Perchè da lui l'avrebbe accettato. Invece non è successo. Si è chiuso, si è rattristato, e non c'è stato verso di stanarlo. Poi diciamolo era un bel caratterino. Non era facile fargli cambiare idea, e a volte aveva ragione lui. Perchè quando uno vince ha sempre ragione. Però non è stato abbandonato, come dicono molti. In tanti ci hanno provato a stargli vicino , ma lui si è tagliato fuori da solo...».

Un uomo solo, ma non più al comando. Tutti cercano il Campione, quello che ti fa sognare, e invece l'uomo si perde, in una fuga senza più ritorno. Perchè purtroppo Pantani è morto di droga, di cocaina. Un epilogo che si fa fatica ad accettare soprattutto in un Campione. Vincente per definizione. I tifosi da lui vogliono certezze, imprese, non cedimenti o debolezze. Purtroppo, e lo confermano anche i medici, il confine tra il doping ematico e la droga è molto sottile. Non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Se ti abitui all'idea che per vincere hai bisogno di un aiuto, quella dipendenza dall'aiuto lo avrai anche nella vita di tutti giorni. Nell'affrontare le difficoltà, nel cercarti delle scorciatoie.

Lo conferma anche Sandro Donati, consulente Wada e autore del libro Lo sport del doping: «Dopo Madonna di Campiglio, per tornare a vincere, Pantani avrebbe dovuto risalire a quegli impressionanti livelli ematici per cui era stato fermato. Ma non poteva più perchè era sottoposto a controlli continui. Passò dall'esaltazione alla depressione e iniziò a far uso di cocaina. E qui subentrano ulteriori responsabilità dell'ambiente sportivo che, pur a conoscenza della sua dipendenza, non cercò di fermarlo. Questi soggetti, penso anche a Schwarzer o allo stesso Armstrong, sono tutti a forte rischio di depressione. Sono delle vittime, ma la mano che c'è dietro è sempre quella del doping».

Parole amare, che riconducono la storia di Pantani a quella che è stata la storia del ciclismo di questi ultimi vent'anni. Come se Pantani, nel suo dramma, la riassumesse tutta. Una verità dura da accettare che spinge, per rimuoverla, a trovare altre spiegazioni al finale della sua vita. Philippe Brunel dell'Equipe ha scritto addirittura un libro sui famosi punti oscuri dell'inchiesta. Alcuni avvocati hanno avanzato dei dubbi su come hanno lavorato gli inquirenti sostenendo che «la scena del crimine venne inquinata». Ognuno può dire, naturalmente, quello che vuole. Ma qui purtroppo la realtà, e cioè una morte triste e solitaria, supera le fantasie di avvocati e scrittori in cerca di facile notorietà.

Domenica alle 8.15 e in replica alle 14.30 andrà in onda su Radio 24 il reportage "Pantani 10 anni dopo: una vita indimenticabile uccisa dal doping e dalla droga", con testimonianze di Felice Gimondi, Sandro Donati, Davide Cassani, Marco Pastonesi.

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