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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2014 alle ore 08:16.

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Gli strumenti normativi
È necessario riunire sotto un unico veicolo legislativo (decreto legge) gli spezzoni finora dispersi di questa programmazione di piccole opere. Un piano unico almeno in termini di certezze di risorse, di procedure agevolate e di semplificazioni dell'iter dove ci sono blocchi. Sul primo punto, oltre all'utilizzo di fondi statali certi (compresi quelli derivanti dal rientro dei capitali), si devono cercare tutti gli spazi possibili per utilizzare i fondi Ue della programmazione 2007-2014: 28 miliardi ancora da spendere entro il dicembre 2015.
I numeri
Il piano delle piccole opere potrebbe consentire di aprire cantieri entro il 2014 per un totale di 7 miliardi aggiuntivi. Ecco i vari spezzoni: per l'edilizia scolastica sono arrivati progetti per un miliardo a fronte di fondi disponibili per 150 milioni (850 milioni aggiuntivi); per il piano dei 6mila campanili ci sono 150 milioni a fronte di progetti presentati per 4 miliardi (3,85 aggiuntivi); per il piano città sono stati finanziati 28 progetti per 318 milioni (comunque bloccati) mentre ci sono altri 276 progetti cantierabili per 1.133 milioni (totale sbloccabile 1,45 miliardi); per la difesa del suolo ci sono fermi al ministero dell'Ambiente progetti per 1,2 miliardi. In tutto, quindi, il piano potrebbe muovere risorse aggiuntive per almeno 7 miliardi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA GLI INVESTIMENTI AGGIUNTIVI 7 miliardi9
RIFORMA DEL TITOLO V Energia e reti tornino allo Stato La proposta
Il rilancio del Paese passa anche dalla riforma del titolo V voluto dal centro-sinistra nel 2001. Che deve partire da una cancellazione delle competenze concorrenti. L'idea di affidare, nelle 21 materie previste dall'articolo 117 della Costituzione, allo Stato il compito di fissare la "cornice" e alle Regioni quello di decidere il "quadro" non ha funzionato. In settori chiave come infrastrutture, energia, trasporti questo sistema ha allungato i tempi delle decisioni e aumentato i conflitti. Perciò il loro ritorno sotto l'egida statale non può essere più rinviato. Al tempo stesso andrebbe riformato anche l'articolo 114 della Costituzione con l'eliminazione delle Province dall'elenco dei livelli di governo in cui si articola la Repubblica.
Gli strumenti normativi
Per riuscirci andrà riscritta la Costituzione. Per vararla bisognerà seguire la procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione: due deliberazioni in ciascun ramo del Parlamento a distanza di tre mesi l'una dall'altra. Con l'ulteriore aggravio che, se nella seconda votazione la maggioranza non raggiunge i 2/3 in ciascuna Camera, occorre anche passare da un referendum. Tutti motivi che devono spingere il governo Renzi a varare già nel primo Consiglio dei ministri il ddl di riforma costituzionale. Rispettando quell'«entro febbraio» pronunciato dallo stesso Renzi all'atto di ricevere l'incarico dal capo dello Stato

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