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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2014 alle ore 06:41.

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BAKHCHISARAJ. Dal nostro inviato
«Non siamo ritornati in patria semplicemente per vivere, ma per ricostruirci una vita». E questa è di nuovo in pericolo per Akhtem Chiygoz e per il suo popolo, i tartari di Crimea cacciati da questa terra da Stalin. Lui è il presidente del Majlis di Bakhchisaraj, il parlamento dell'antica capitale. Davanti al suo ufficio ci sono il palazzo del Khan, una statua di Pushkin e il tramonto, e quando scende la sera la paura aumenta. I tartari alzano la guardia: per ora si limitano a vigilare per le strade, la notte, ma sono pronti. Il fantasma della Russia è tornato. «Daremo battaglia», dice Akhtem.
Il giorno dopo, sono venuti. Man mano che si avvicina il referendum che domenica proclamerà - nessuno ne dubita - il desiderio della Crimea di farsi annettere alla Russia, la strana armata di cosacchi e miliziani venuti a difendere questa nuova entità alza il tiro contro l'Ucraina e le sue forze dell'ordine. «La Russia o il fascismo?», è la scelta da compiere secondo la propaganda locale, che ha già scavato un baratro tra la penisola e Kiev. Ma non c'è nessuna scelta, naturalmente, per le minoranze tartare e ucraine, anche perché l'autoproclamato governo di Serghej Aksjonov mette le mani avanti senza neppure aspettare il voto. Un nuovo esercito nato dal nulla ha prestato ieri giuramento alla Repubblica di Crimea. Posti di blocco spuntano dal nulla, pretendendo accrediti a nome di Aksjonov. E il cerchio attorno ai militari ucraini è sempre più stretto.
Un commando di uomini armati non identificati si è presentato ieri a Bakhchisaraj, sparando in aria per costringere i militari di una base ucraina a consegnare 10 automezzi. L'armata di Crimea è sempre più spavalda e sicura di sé, come sembrano indicare i blindati avvistati a Sebastopoli presso una base aerea ucraina, i militari disarmati presso una base missilistica e il blitz delle forze filorusse nell'ospedale militare di Simferopol.
In Crimea la realtà sembra muoversi in un mondo parallelo alla girandola diplomatica che ieri è tornata a convocare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, mentre sembrano girare ancora a vuoto i tentativi di Russia e Stati Uniti di trovare uno spiraglio di intesa a cui aggrapparsi e la Nato ha autorizzato voli di ricognizione Awacs su Polonia e Romania per monitorare la crisi in Ucraina. Il segretario di Stato americano John Kerry, secondo quanto comunicato da Serghej Lavrov a Vladimir Putin, avrebbe declinato un invito a Mosca dopo aver presentato al collega russo una proposta per risolvere la crisi ucraina che Lavrov ha definito «insoddisfacente». Un punto di incontro è difficile da trovare perché i russi insistono sul rispetto dell'intesa siglata a Kiev il 21 febbraio scorso, che prevedeva di arrivare gradualmente a un cambio di regime, mentre gli americani hanno accettato il governo che in poche ore ha preso il potere, dopo la fuga di Viktor Yanukovich (e ieri la Banca mondiale si è detta pronta ad aiutare il governo provvisorio ucraino con tre miliardi di dollari). La Crimea, spinta da Mosca, si è infilata nel confronto.
Per i tartari di Bakhchisaraj, la comunità internazionale è la sola speranza. «Il referendum è già perso - spiega Akhtem Chiygoz che, come l'Occidente, non ne riconosce la legittimità -. La questione è vedere come reagiranno l'Europa, l'America». I tartari di Crimea - il 12,1% della popolazione - si sono rivolti all'Onu e a Barack Obama, dalla Turchia cui sono legati dalle origini comuni hanno già avuto espressioni di sostegno. Segnati per l'eternità dal dramma della deportazione, non credono per un istante alle proposte russe di condivisione del potere, ma si sentono traditi anche da Kiev, «governi - racconta Akhtem - che hanno sempre fatto di tutto perché vivessimo sempre peggio e non ci rafforzassimo, agitando lo spauracchio dell'islamizzazione della Crimea. Ma noi vogliamo solo la libertà, capisce? E lotteremo fino all'ultimo istante per difendere l'indipendenza dell'Ucraina». In che modo lotterete? Il vicepresidente del Majlis, Enver Umerov, resta un minuto in silenzio prima di rispondere. «Se ci sarà un conflitto armato - dice - i nostri giovani sanno sparare».
Dall'altra parte del fronte, a Simferopol, anche il colonnello Kostja si prepara. Fa parte della nuova armata di Aksjonov dalle uniformi appena cucite, ci tiene a spiegare: «Noi siamo gente pacifica, non ci mettiamo a occupare l'Ucraina che ha scelto la strada del fascismo e del nazionalismo». Anche lui ha un dramma alle spalle, il figlio ferito sul Maidan ma dalla parte dei Berkut, le truppe antisommossa di Yanukovich. «Ditemi, come deve reagire un padre che ha mandato il figlio a compiere il proprio dovere? Il nuovo potere di Kiev si pone come l'unico possibile, ma la Crimea è sempre stata una terra di tante nazionalità, parte della Russia. E alla Russia tornerà».
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