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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2014 alle ore 10:40.
L'ultima modifica è del 14 novembre 2014 alle ore 19:31.

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Yukiya Amano, direttore generale dell'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica (Epa)Yukiya Amano, direttore generale dell'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica (Epa)

TOKYO – In seguito alla crisi nucleare innescata dall'incidente dell'11 marzo 2011 alla centrale di Fukushima Daiichi il mondo deve ritenersi più sicuro in quanto le misure di sicurezza presso gli impianti atomici del pianeta sono state ulteriormente rafforzate. E se c'è una differenza rispetto all'incidente di Chernobyl del 1986, questa riguarda gli effetti sul trend del settore: allora si verificò un netto rallentamento della costruzione di nuovi impianti nucleari, mentre oggi questo fenomeno non si sta verificando. Anzi.

Sono affermazioni di Yukiya Amano, direttore generale dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (Aiea), intervenuto oggi al Foreign Correspondents' Club of Japan. Amano sottolinea che sono 72 i reattori nucleari in costruzione nel mondo, il massimo da un quarto di secolo, e – anche se alcune nazioni europee hanno deciso di rinunciare a questa forma di generazione di energia – sono una sessantina i Paesi del mondo che stanno pensando a farvi ricorso. Ma l'energia atomica è proprio sicura? Amano risponde che «nessuna tecnologia può esserlo al 100%» ma che nel mondo dopo Fukushima le centrali nucleari sono state rese più sicure di prima. Quanto alla situazione alla centrale giapponese, il numero uno dell'organizzazione internazionale con sede a Vienna afferma che "resta complessa" e con importanti sfide da risolvere per assicurarne la stabilità a lungo termine. Sul problema più urgente – quello dell'acqua contaminata – l'Agenzia consiglia al Giappone di sottoporla a trattamento e poi scaricarla nel Pacifico. Amano non ha difficoltà ad ammettere che l'incidente è stato causato anche da errori umani e ricorda che la stessa Agenzia aveva raccomandato al governo giapponese di separare le funzioni di controllo e quelle di promozione dell'energia nucleare (un problema che, per inciso, riguarda anche la stessa Aiea).

Tra le manchevolezze più evidenti, spicca l'insufficiente altezza delle barriere anti-tsunami e l'inadeguatezza dei piani per contrastare le emergenze. Di questo l'Aiea farà menzione nel rapporto finale sull'incidente di Fukushima Daiichi che sarà completato entro la fine di quest'anno.
Errori umani, dunque, ma nessun responsabile, nessun colpevole. Due settimane fa è stato respinto a Tokyo l'ultimo ricorso utile per cercare di avviare un procedimento penale, che quindi non ci sarà. Ci prova ancora l'avvocato Akihiro Shima, che sta cercando di promuovere una class action supportata da 4mila persone di 33 Paesi contro i fornitori dell'impianto: Toshiba, General Electric e Hitachi. Ma francamente l'argomentazione giuridica contro i fornitori appare debolissima (la legge giapponese la esclude esplicitamente perchè addossa la responsabilità della sicurezza al gestore) e le possibilità di accoglimento praticamente nulle.

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