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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2014 alle ore 20:12.
L'ultima modifica è del 19 marzo 2014 alle ore 20:19.

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Come possiamo essere credibili a chiedere di cambiare le regole del gioco sull'occupazione giovanile, quando noi abbiamo dei numeri sulla disoccupazione giovanile che gridano vendetta? Provate a controllare i numeri di partenza: in Francia la disoccupazione non è molto più bassa che da noi. Sono circa due punti percentuali, ma la differenza fra la disoccupazione giovanile francese e quella italiana è di oltre 20 punti; no, non di oltre, precisamente di 20 punti percentuali, 22 a 42 per cento. È evidente, dunque, che l'Italia ha bisogno, se vuole essere soggetto credibile in Europa, di cambiare se stessa. Allora, rapidamente, noi abbiamo proposto, e lo faremo in modo dettagliato nella discussione di domani e dopodomani, di considerare il triplice sforzo che l'Italia sta facendo non come concessione all'Europa, «vi facciamo questo, almeno ci date qualche margine di flessibilità», ma come condizione della dignità del dibattito politico italiano.
Noi non stiamo concedendo all'Europa di fare le riforme che l'Europa ci chiede. Noi stiamo concedendo a noi stessi di guardarci allo specchio, convinti che le cose che abbiamo promesso finalmente le facciamo. Ecco il pacchetto di riforme, ecco perché questo Parlamento, questa Camera dei deputati, ha un ruolo centrale, perché da questa Camera dipende, al di là delle singole posizioni, che sono, naturalmente, legittime in un'assise democratica, che la legge elettorale si faccia o no, e che sia una legge elettorale che dia un vincitore certo, e che sia una legge elettorale che riduca il potere di veto.
Ecco perché è fondamentale che si superi il livello istituzionale delle province, perché vi è un eccesso di livelli istituzionali in Italia, e lo diciamo da anni. Ecco perché è fondamentale che la riforma costituzionale, nel superare il bicameralismo, detti regole più chiare sul rapporto tra regioni e Stato centrale. Ecco perché è fondamentale che alcune istituzioni che hanno fatto il loro tempo, ancorché previste dalla Costituzione – ogni riferimento al CNEL è puramente voluto – possano vedere nella discussione parlamentare un loro superamento definitivo, per dare il segno che, prima di andare a tagliare negli interventi che riguardano i cittadini, partiamo da noi, diamo noi il buon esempio, e che, quando siamo in condizioni di parlare all'Europa per eliminare le sacche di burocratismo che l'Europa ha, iniziamo da casa nostra. Ecco perché è fondamentale che, nei prossimi mesi, la pubblica amministrazione, il fisco, in ossequio alla delega fiscale, e il tema della giustizia siano affrontati prima del 1o luglio. Non è colpa di un commissario europeo se ci viene detto che, sulla giustizia civile, siamo gli ultimi. Non possiamo pensare che l'Europa sia il nostro alibi. I dati che vengono offerti dall'Europa non sono dati della «strega brutta e cattiva», che pone dei numeri a caso, ma sono i dati delle nostre debolezze. Risolvere il problema della giustizia civile è una priorità per il nostro Paese. Alla luce di questo, credo che le riforme istituzionali e costituzionali che abbiamo inserito nella discussione siano una grande novità, non nei contenuti, ma nella consapevolezza di tutte le forze politiche – non ignoro che su questo tema si è registrata una convergenza più ampia rispetto a quella della maggioranza di Governo – che sono viste di assoluto buon occhio, perché sono la premessa, per noi, per stare al tavolo europeo.

Vi è un secondo elemento, che è quello del lavoro. So che vi è una discussione, anche aperta, ma la modifica delle regole sul lavoro non è una materia a piacere da portare, che possiamo togliere o mettere. Credo che il Parlamento, nella legge delega sul lavoro, avrà l'occasione per una grande riflessione su come sono andate le cose in questi venti anni. Si è pensato di creare lavoro per decreto, e si è fallito; si è pensato di ridare garanzie a una generazione attraverso il moltiplicarsi di norme, e si è ugualmente fallito. E oggi abbiamo la disoccupazione giovanile che è a livelli atroci.

Questa consapevolezza deve spingere il Parlamento, attraverso – spero che sia stato apprezzato – lo strumento della delega, a una grande discussione sui principi generali e poi ad un approfondimento che tocchi alcuni temi innovativi: come modifichiamo il sistema degli ammortizzatori sociali, come interveniamo sul salario minimo, come diamo l'occasione di un assegno universale di disoccupazione, garantendo anche a chi oggi garanzie non ha avuto, ma come contemporaneamente consentiamo a degli imprenditori che vogliano investire, di potere assumere, senza bisogno di avere la difficoltà pratica di farlo.

Questo punto, il secondo delle tre riforme, è un punto centrale, non è un argomento che si può spostare perché poi c'è da discutere e da litigare tra di noi, perché è il secondo punto, non che viene richiesto in Europa, ma che viene richiesto dal 42 per cento dei disoccupati giovani.

E poi c'è un terzo elemento, un terzo elemento che è fondamentale, che sono le misure di natura economica. La prima misura di natura economica – consapevoli come siamo che sarà questo Parlamento, questa Camera e il Senato, a dover votare con una maggioranza qualificata – è stata l'offerta, la scelta, l'individuazione di un nome per l'autorità contro la corruzione. Si dirà: ma che misura economica è ? Io sono consapevole che questa misura, prima ancora di essere una misura economica, che corrisponde a un impegno preso dai precedenti Governi, dal Governo Monti prima e dal Governo Letta poi, è una misura di natura culturale. Lasciatemelo dire perché, individuando una figura che combatte la camorra e che è il magistrato Raffaele Cantone, mi viene naturale oggi, 19 marzo, svolgere e dedicare un pensiero a don Peppe Diana, un pensiero commosso di chi allora fu ucciso in modo atroce (Prolungati applausi), e che comunque non ci esime dal prendere atto che si

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