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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2014 alle ore 18:26.

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Insomma, la sfida è aperta. Bisogna poi dire che la Roubaix si diverte a fare e disfare ogni pronostico. Perché sul pavè (quest'anno 51 km con 28 tratti), oltre che bravi bisogna essere fortunati. Molto fortunati. E non sempre, per una foratura, una caduta o per il maltempo, vince il migliore. Diciamo che un pivellino non può sfangarla. Servono classe, potenza e caparbietà. E anche un po' d'astuzia, come suggerisce Felice Gimondi, anche lui vincitore di una edizione nel 1966.

«Sì, alla Roubaix è vietato distrarsi. In particolare bisogna stare in testa nei punti decisivi. Che sono due: l'imbuto della foresta di Aremberg, dopo circa un centinaio di chilometri. E poi l'ultimo tratto di pavè, quello del Carrefour d'Arbre. Sono entrambi due settori decisivi. Se rimani indietro, sei finito. Non riesce più a recuperare».
«Un altro consiglio? Stare davanti è meglio che stare dietro. Dietro mangi polvere. Oppure fango. In più non vedi le buche, o rischi di finire contro a quello che ti precede se lui cade. No, meglio stare davanti. Forature e cadute sono all'ordine del giorno. E poi recuperare quando cadi ti costringe a uno sforzo fisico enorme».

Ogni grande campione ha la sua ricetta per vincere la Roubaix. Il grande Franco Ballerini, che era il manifesto di questa corsa, aveva una determinazione selvaggia. Che però non gli impedì, nel 1993, di essere battuto per 8 centimetri dal vecchio Duclos Lassalle, ormai quarantenne al suo quattordicesimo assalto. Per il Ballero fu uno choc tremendo. «Non correrò mai più», disse coperto di fango prima di entrare nelle docce del velodromo. Non fu di parola. Tornò molte altre volte vincendo le edizioni del 1995 e del 1998.

È una corsa per matti, la Roubaix. Bisogna amare il vento e la pioggia, il fango e il sole. Buttarsi nella mischia, sopportare il dolore alle ossa che ti resterà incollato per una settimana. Ti deve piacere anche l'ambiente, così demodè, con quelle zone minerarie magnifiche per girare un film o per ritrovare l'atmosfera di un romanzo di Zola. Con quelle nuvole che si aprono e si chiudono come nei quadri degli impressionisti.

Ma torniamo ai favoriti. Il terzo è lo slovacco Peter Sagan. Sarebbe una corsa adatta ai suoi virtuosismi, bisogna però vedere se reggerà lo sforzo. Finora fa ancora fatica a reggere le lunghe distanze. Ma il futuro è tutto suo. Va ricordato il norvegese Kristoff, quello dell'ultima Sanremo. Anche al Fiandre si è piazzato quinto. È un osso duro, ed è sempre tra i piazzati. Meglio tenerlo d'occhio.

Di outsider ce ne sono tantissimi, ed è inutile qui fare l'elenco. Almeno una ventina possono arrivare per primi al velodromo. Un discorso che non vale per gli italiani. Per noi butta male. Abbiamo Luca Paolini, ma è impegnato a fare il gregario di lusso. Stesso discorso per Moreno Trentin. Poi ci sarebbe il solito Filippo Pozzato, uno che non sa mai capire perché le gambe non hanno girato come avrebbero dovuto. Anche all'ultimo Fiandre si è perso senza un motivo particolare. Se non quello che gli altri vanno più forte. L'ultimo piazzamento alla Roubaix risale al 2012 con Alessandro Ballan. Per una vittoria, con Andrea Tafi, invece bisogna risalire al 1999. Un altro secolo.

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