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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2014 alle ore 12:01.
L'ultima modifica è del 06 maggio 2014 alle ore 13:57.

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Un personaggio, Ménard. Nato a Orano nel 1953, quando Algeri era la seconda città francese, figlio di un simpatizzante dell'Oas e arrivato a Béziers a 9 anni, è stato trozkista e poi socialista. Giornalista e fondatore di Réporters sans frontières, che ha guidato per 23 anni. Al Front National - del quale condivide «l'80% delle idee», a partire da quelle sull'immigrazione - si è avvicinato negli ultimi anni: nel 2011 ci ha scritto un libro, "Vive Le Pen", insieme alla quarta moglie, vicina agli ambienti del cattolicesimo radicale.

Un esperimento unico nel suo genere, quello di Béziers. Se in Francia le liste civiche sono già abbastanza rare, è la prima volta che il Front National appoggia una lista "esterna" al partito. Visto il successo (Béziers è il comune più grande "conquistato" dal Front), si tratta di un'operazione che potrebbe essere ripetuta e moltiplicata, un'altra strada da battere.
«È stato un tipico matrimonio di interessi», spiega Arnaud Gauthier, cronista del quotidiano Midi Libre. «All'estrema destra, che ottiene da tempo dei buoni risultati nelle elezioni nazionali ma non in quelle locali perché non ha candidati di peso, serviva una figura popolare. Ménard aveva bisogno di uno zoccolo duro di elettori, che poteva garantirgli il Front con il suo 20-25%, per realizzare una campagna vincente». Una campagna, va detto, fatta davvero sul territorio. E parlando di cose molto concrete. Ménard ha bussato a 18mila porte, strappando un voto alla volta.

«In vista delle europee - aggiunge Gauthier - possiamo dire che il voto di fine marzo è una sorta di test. Certo non incoraggiante. Chi ha votato per Ménard lo ha fatto per bocciare i partiti del cosiddetto fronte repubblicano, Ump e Ps, e perché vuole che ci si occupi dei loro problemi di tutti i giorni. Il 25 maggio non andranno a votare, e chi ci andrà voterà Le Pen». Insomma, il loro doppio «no» (a una politica vecchia e lontana) lo hanno già espresso. Ben che vada lo ribadiranno.

È quello che pensa Ménard: «L'Europa qui non interessa a nessuno. È qualcosa di estraneo, che la gente non capisce, che non gli appartiene. Tra astensione e rifiuto, il risultato anti europeo sarà enorme. Questa è la realtà, anche se non mi piace». Lui, peraltro, delle europee non si occuperà proprio, concentrato com'è sull'impresa titanica di rilanciare una città povera e con le casse vuote. Anche se i suoi slogan della campagna comunale - sull'ordine, la sicurezza, l'immigrazione, la fierezza - sembravano fatti apposta per quella europea del Front national. Presentata proprio ieri all'insegna del «voto patriottico».

Anche Jean-Michel Du Plaa, il dissidente socialista arrivato terzo al ballottaggio, è convinto che il 25 maggio uscirà dalle urne una pesantissima bocciatura dell'Europa: «Questa è una popolazione tradizionalmente poco europeista, che non si è ancora ben ripresa dallo shock dell'ingresso di Spagna e Portogallo, nel 1986, con l'impatto che ha avuto in termini di accresciuta concorrenza sul vino e sull'agricoltura in genere. Qui nel 2005 il «no» alla costituzione ha preso il 60%, ben di più che a livello nazionale. E poi Parigi ha sempre gestito in maniera opportunistica la questione europea: le misure impopolari sono imputabili a Bruxelles; fondi e aiuti ai politici francesi. Si raccoglierà quello che si è seminato».

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