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Fiorenzo Magni, il «terzo uomo» che metteva la ruota davanti a Coppi e Bartali

Fiorenzo Magni (Olycom)Fiorenzo Magni (Olycom)

Undicesima tappa, Collecchio-Savona: 249 chilometri con due Gran premi della montagna di seconda categoria. Il Passo Cento Croci, dopo 66 chilometri dalla partenza, ma soprattutto la salita di Naso di Gatto, a venti dall'arrivo. Uno strappo di quelli tipici dell'entroterra ligure, che sembrano facili facili e invece, a un certo punto, ti stroncano le gambe. È la tappa più lunga del Giro, una tappa fatta per chi resiste alla fatica. Il campione di oggi non poteva essere che Fiorenzo Magni.

Nascere nel 1920 e dedicarsi al ciclismo significava due cose: buttare qualche anno di carriera a causa della seconda Guerra mondiale e, in gara, incrociare due mostri come Gino Bartali e Fausto Coppi. Fiorenzo Magni non ha potuto scegliere, perché è nato proprio nel 1920 a Vaiano, in provincia di Prato.

È arrivato alle grandi corse solo dopo la guerra, nel 1947: settimo alla Milano-Sanremo e nono al Giro. Un assaggio di quello che sarebbe stato. Al Giro del 1948 vince tra le polemiche: Bartali era rimasto attardato per una caduta e Magni era in Maglia Rosa, conquistata con una fuga che aveva sorpreso tutti i grandi. E non era un Giro facile, per lui, che aveva aderito alla Repubblica sociale italiana e veniva fischiato e insultato sulle strade di tutta Italia. Si arriva alla tappa del Pordoi, vinta da Coppi: Magni era stato visto ricevere spinte in salita, e si prende due minuti di penalizzazione. Troppo poco, sentenzia il campionissimo, che per protesta se ne va a casa. Magni vince il Giro, arrivando a Milano tra i fischi di un pubblico che, di lì a poco, avrebbe iniziato ad amarlo.

La svolta rriva nel 1949, con il Giro delle Fiandre: Magni si presenta da solo con il sostegno di un meccanico. Durante l'inverno l'aveva studiato bene, il Fiandre, e quindi sceglie con cura i materiali da impiegare in corsa: pneumatici speciali, ruote in legno, manubrio imbottito. Vince, tra la sorpresa di tutti, per poi ripetersi nel 1950 e nel 1951. Nasce lì, sulle strade del Nord, la leggenda del «Leone delle Fiandre», un soprannome con cui si farà strada nel cuore dei tifosi. Nel suo palmares entreranno il Giro di Toscana, il Trofeo Baracchi,la Milano-Torino, il campionato italiano, il Giro del Piemonte, il Giro della Romagna, il Giro di Toscana e molte altre corse.

Magni vince altri due Giri d'Italia, nel 1951 e nel 1955, quando ha ormai 35 anni. Un record, quello del più vecchio vincitore della corsa rosa, che è ancora oggi imbattuto. Al Tour de France del 1950 sfiora la grande impresa. L'Italia è presente con due squadre: quella maggiore, capitanata da Gino Bartali, e quella cadetti guidata da Magni. A St Gaudens, il 25 luglio, dopo aver scalato Aubisque, Tourmalet e Aspin, Bartali vince la tappa e Magni indossa la Maglia Gialla. Ai francesi non vanno proprio giù, quegli italiani che vincono a ripetizione in casa altrui, e insultano i nostri corridori, cercano di farli cadere colpendoli vigliaccamente alle spalle. Bartali, che era stato aggredito sull'Aspin, minaccia il ritiro, non accetta un trattamento simile. Per Magni è diverso: ha sulle spalle la Maglia Gialla e poi, una situazione del genere, l'ha già vissuta e superata in casa, al Giro del 1948. Ma decide Bartali: tutti a casa. E il commissario tecnico, Alfredo Binda, ritira entrambe le squadre. Per Magni è la fine del sogno.

Non si lamenterà mai per l'accaduto, non darà mai a Bartali la colpa per quel Tour perso indossando la Maglia Gialla. Al massimo parlerà di decisione affrettata e ingiustificata ma contro il grande Gino nulla, mai nemmeno una parola. Nemmeno negli anni a seguire.

Chiamato «il terzo uomo», proprio perché stretto tra Coppi e Bartali, dei due grandissimi rivali ha sempre parlato con stima: «Devo solo ringraziarli, senza di loro non sarei stato nessuno, mi hanno fatto diventare uomo».

Un uomo capace di chiudere il suo ultimo Giro d'Italia al secondo posto, nel 1956, con una clavicola e un omero fratturati. La foto che vedete a corredo di questo articolo lo ritrae mentre morde una camera d'aria, fissata al manubrio che non riusciva stringere per via delle fratture. Una storia che merita di essere raccontata. Nella discesa di Volterra Magni cade e si rompe la clavicola. Il medico ovviamente vuole fermarlo ma non c'è niente da fare, il Leone delle Fiandre non si arrende. Ricopre il manubrio di gommapiuma, per attutire i colpi, e si presenta alla partenza della cronometro. E poi ancora, tappa dopo tappa, oltre gli Appennini, sempre più vicino al traguardo finale. Arriva il giorno della cronoscalata di San Luca e Magni si rende conto che, nonostante l'imbottitura, non riesce a stringere il manubrio, a far forza come dovrebbe per spingere sui pedali. È il suo meccanico, Faliero Masi, a tagliare una camera d'aria e a legarla al manubrio, perchè possa tirarlo con i denti al posto delle mani. Anche la cronoscalata è superata.

Il peggio arriva il giorno seguente, nella tappa che da Modena porta a Rapallo. Magni cade di nuovo e questa volta si frattura l'omero. «Fermati Fiorenzo - gli ordina il medico - così non puoi andare avanti». Magni sviene dal dolore ed è già sull'ambulanza, sulla strada per l'ospedale, quando riprende conoscenza: ordina all'autista di fermarsi, scende dalla lettiga e si butta all'inseguimento del gruppo, con una di quelle folli discese per cui è diventato leggendario. Nella tappa del Bondone, in mezzo a una bufera di neve, si ritirano quasi tutti i migliori: lui no, arriva in vetta e si porta al secondo posto in classifica. Un secondo posto che difende fino a Milano, che ancora oggi sembra fuori da ogni realtà, da ogni possibilità umana.

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