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Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2014 alle ore 08:13.

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Sul piano clinico l'intersoggettività, può essere definita un processo in gran parte implicito di comunicazione e creazione di senso tra i due mondi intrapsichici di paziente e terapeuta. Un'esperienza che produce cambiamento in entrambi e nella loro relazione. E inevitabilmente ci porta a ridisegnare l'idea di psicoanalista.
Pensando al convegno SPI penso a Luciana Sica che ne avrebbe scritto su «Repubblica». Ma Luciana non è più con noi. Amava la psicoanalisi e proprio l'anno scorso aveva ricevuto il premio Musatti.
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il nuovo libro
Destinato a figurare in molte future bibliografie, psicodinamiche e neurobiologiche, questo di Massimo Ammaniti e Vittorio Gallese (La nascita della intersoggettività, Cortina Editore, pagg. 286, € 28,00) è un importante contributo che esplora e racconta la nascita dell'intersoggettività, ovvero della nostra «capacità di condividere, conoscere, comprendere, empatizzare, sentire, partecipare, risuonare, entrare nell'esperienza di un'altra persona», secondo la definizione fornita da Daniel Stern, il grande infant researcher e psicoanalista a cui il libro è dedicato. Integrando i rispettivi campi di ricerca (per Gallese le neuroscienze cognitive e la ricerca sui mirror neurons e la simulazione incarnata, dunque sulla natura relazionale dell'azione; per Ammaniti, l'attaccamento e la ricerca su maternità, genitorialità e infanzia) il volume spiega la disposizione intrinsecamente relazionale del bambino fin dall'epoca prenatale (attaccamento materno-fetale), promuovendo conoscenze e domande sulle basi neurobiologiche su cui costruiamo la nostra umanità "in seconda persona". Quella che il filosofo e teologo ebreo Martin Buber aveva chiamato Io-Tu.

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