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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 26 febbraio 2015 alle ore 12:34.

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La procura di Bologna ipotizza il «reato di omicidio per omissione» per l'assassinio del giuslavorista Marco Biagi da parte delle nuove Brigate rosse il 19 marzo 2002. Al momento non ci sono indagati. Con la formulazione dell'ipotesi accusatoria l'inchiesta punta a individuare uno o più soggetti che non avrebbero compiuto atti, per legge obbligatori, in grado di evitare la morte di Biagi. Si riapre così un caso giudiziario, quello della mancata assegnazione della scorta al giuslavorista, già archiviato nel 2003 con reati molto meno gravi di oggi: semplice omissione e cooperazione colposa in omicidio.
Nel luglio 2013, però, l'ex capo della segretaria particolare di Scajola, Luciano Zocchi, consegna una denuncia con documenti allegati alla procura di Bologna. Zocchi ha vissuto tutti i momenti drammatici delle minacce a Biagi, più o meno discussi. A cominciare dalle telefonate minatorie: molte non convalidate come tali dalle forze di polizia, ma anche altre che - sembra incredibile, ma è così - a distanza di anni hanno trovato riscontro. Zocchi, oggi sessantenne, è un ex sacerdote, già allievo salesiano molto vicino a quel mondo. Tanto che all'Ansa dichiara di aver parlato «al cardinal Bertone, sia pure in modo sommario e come un padre spirituale» del caso dell'omicidio del giuslavorista. Zocchi e Scajola si conoscono dall'infanzia. Approdati insieme al ministero dell'Interno, in pochissimo tempo nel rapporto tra i due accade qualcosa e Scajola lo rimuove dall'incarico di segretario. Ma Zocchi resta al gabinetto del ministro ed è in contatto, com'è ovvio, con i vertici del Viminale e del dipartimento di Pubblica sicurezza, oltre ad avere un'agenda ricca di relazioni con l'Arma, la Finanza e i servizi segreti. L'inchiesta già archiviata aveva scagionato i dirigenti Ps che non avevano assegnato la scorta: non c'erano rilievi penali. Zocchi, però, è testimone e destinatario di una serie di segnalazioni molto allarmate, quasi disperate, che giungono per invocare a tutti i costi la protezione al giuslavorista. Una sarebbe arrivata proprio il venerdì prima dell'attentato e Zocchi l'avrebbe fatta vistare a Scajola. Il martedì successivo, la tragedia. Non è un caso se è stata sentita in procura dal pubblico ministero Antonello Gustapane - che pure chiese l'archiviazione nella precedente indagine - Enrica Giorgetti, moglie dell'ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Entrambi amici legatissimi a Biagi.
Se dunque la precedente inchiesta della procura di Bologna scagiona gli organismi territoriali - prefetture, questure e soprattutto comitati provinciali per l'ordine pubblico a Roma, Milano e Bologna - che potevano essere coinvolti nella mancata concessione della scorta a Biagi, l'indagine ora dovrebbe puntare al centro del sistema di pubblica sicurezza. Per verificare se l'allora ministro dell'Interno, appunto, e forse altri soggetti, non abbiano compiuto quegli atti «obbligatori» che avrebbero potuto salvare Biagi. La questione poi si complica perché in campo ci sono anche i due organismi di intelligence di allora, il Sisde (oggi Aisi, servizio interno) e il Sismi (ora Aise, servizio esterno), guidati rispettivamente da Mario Mori e Nicolò Polari. Scajola e Pollari si frequentavano da lunga data e, guarda caso, una parte dei documenti più o meno riservati, riferibili a Zocchi, in una perquisizione della Gdf sono stati poi trovati nell'abitazione di un funzionario Aise. Anche perché una parte di documentazione poi trasmessa alla procura di Bologna nasce dall'indagine sui dossier conservati e poi sequestrati all'ex ministro dell'Interno.
Il Sisde di Mori, inoltre, alcuni mesi prima dell'uccisione di Biagi trasmise al ministero dell'Interno e ai vertici delle forze dell'ordine un'informativa allarmata sui rischi per il giuslavorista, legata a un volantino del Fronte rivoluzionario per il comunismo, sigla che nascondeva le nuove Br. Ma l'analisi degli 007 non aveva il potere di far scattare la protezione per Biagi e le forze del'ordine, Polizia di Stato in particolare, non trovarono riscontri, a loro avviso, sufficienti. Ieri poi l'avvocato di Scajola, Nico D'Ascola, ha rimesso l'incarico per superare le polemiche «strumentali» a suo avviso per un presunto conflitto di interessi con la nomina a relatore sul Ddl anticorruzione in Senato.

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