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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2014 alle ore 08:14.

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Il Psiup è stato molte cose: il luogo di incontro di molte anime politiche che saranno protagoniste della stagione dei movimenti a partire dal '68; l'esperienza rapidamente entrata in crisi di una forza politica di matrice non comunista che prova a rinnovare la cultura della sinistra socialista in Italia; il terreno di confronto tra molte figure di rinnovatori della sinistra italiana che poi abbandoneranno la politica oppure sceglieranno strade diverse, spesso tra loro molto lontane (dentro coabitano figure come Giuliano Amato, Fausto Bertinotti, Vittorio Foa, Pietro Ichino, Sergio Chiamparino, Peppino Impastato, Lelio Basso); il partito che rinnova completamente lo stile della grafica che ancora permarrà negli anni '70, abbandonando le linee vignettistiche della propaganda degli anni '50 spesso "didattiche" proprie dei partiti popolari negli anni '50 (non solo il Pci o la Dc, ma anche il Psi) che presumono una società poco alfabetizzata, e adottando invece una comunicazione, anche nella rappresentazione grafica più moderna, concettuale, innovativa nei colori, nei simboli, nelle parole, nella scrittura. Un aspetto quest'ultimo, su cui Agosti non insiste, ma che costituisce un tratto non marginale nella modernizzazione della politica in Italia a partire dagli anni 60 e a cui il Psiup contribuisce in maniera rilevante.
Accanto a questi, stanno anche quelli del rapido declino. Per esempio, ed è un punto non marginale su cui Agosti insiste molto, i bilanci amministrativi. Un partito che inizia dichiarando la propria autonomia, e finisce avendo un bilancio in gran parte condizionato dai finanziamenti sovietici che ne determinano le scelte, ne restringono la capacità politica, l'autonomia, il profilo culturale. L'episodio più evidente è testimoniato dalla posizione ambigua che il Psiup tiene dopo l'invasione della Cecoslovacchia il 21 agosto 1968 che, a differenza del Pci, non condanna. Non è l'unico episodio. Quell'ambiguità ritornerà anche su altre questioni. Per esempio: rispetto alla crisi e al conflitto cino-sovietico; alle posizioni sostenute sulla crisi mediorientale apertasi con la guerra dei Sei giorni nel giugno 1967, ma diventata più acuta negli anni della diffusione del terrorismo palestinese, non solo in Medio Oriente, ma anche in Europa; intorno all'allargarsi del dissenso in Unione sovietica e ai processi contro i dissidenti a partire dal 1970. Tutti aspetti in cui l'ortodossia, il dogmatismo dominano a fronte di un partito che si presenta come "eretico", "nuovo", "rinnovatore".
Per molti aspetti una metafora delle molte contraddizioni e ambiguità di una sinistra che, da allora, ha provato molte altre volte a rinnovarsi. Spesso riuscendoci solo a metà.
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Aldo Agosti, Il partito provvisorio. Storia del Psiup nel lungo Sessantotto italiano, Laterza, Roma-Bari,
pagg. 304, € 25.00

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