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Questo articolo è stato pubblicato il 07 giugno 2014 alle ore 10:33.
L'ultima modifica è del 07 giugno 2014 alle ore 12:10.

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Con un comunicato  al-Qaeda nel Maghreb Islamico ha incitato a inizio giugno i libici a unirsi per “eliminare il simbolo del tradimento e dell’apostasia, Khalifa Haftar, e i sostenitori di Muammar Gheddafi che sono con lui. Grazie al sostegno del sanguinario presidente egiziano al-Sisi, con la complicità degli americani e i finanziamenti dei Paesi del Golfo, il traditore Haftar ha la lanciato una guerra contro l’Islam, con il pretesto del terrorismo”.

Non meno eloquente l’avvertimento  della guida suprema dei Fratelli Musulmani in Libia, Bashir al Kubti, che in un'intervista al quotidiano al-Quds al Arabi accusa Haftar di “emulare quanto fatto dal generale Abdel Fattah al Sisi in Egitto” ammonendo che in Libia tutto il popolo è armato. ”Non esiste casa in cui non ci sia una pistola o un fucile. In strada si trova qualsiasi tipo di arma: stiamo parlando di almeno 25 milioni di armi circolanti nel paese” minacciando l’insurrezione degli adepti del movimento.

In un simile contesto le elezioni per il rinnovo del Parlamento (1.714 candidati di cui solo 3 donne e 1,5 milioni di elettori registrati) indette per il 25 giugno sembrano anacronistiche ma al tempo stesso anche una soluzione militare della crisi pare improbabile. I militari libici sono deboli,  le reclute vengono oggi addestrate all’estero  da turchi, italiani, giordani, francesi, britannici e statunitensi ma le forze di Haftar difficilmente riusciranno ad avere la meglio sui qaedisti della Cirenaica. 

Secondo un’analisi dell’istituito Affari Internazionali l’iniziativa del generale potrebbe avere “l’effetto di rinsaldare pericolosi legami e contiguità, come in particolare quella fra i Fratelli Musulmani e i jihadisti di Derna e Bengasi”. Uno scenario che trasformerebbe la Libia in un altro Afghanistan.

Soprattutto l’Italia guarda con preoccupazione all’esplosione di una guerra civile generalizzata per i devastanti effetti sugli approvvigionamenti energetici e sul già drammatico flusso di immigrati clandestini verso le coste siciliane. Né Roma né i Paesi Nato e UE sembrano volersi impelagare in un’operazione militare di stabilizzazione mentre i 250 marine statunitensi basati con 10 velivoli a Sigonella hanno il compito esclusivo di evacuare i cittadini americani dalla Libia.

Più probabile invece un intervento coordinato tra Egitto e Algeria, entrambi interessati a eliminare  le milizie qaediste attive sui confini e a scongiurare il rischio che il Paese cada nelle mani dei Fratelli Musulmani.  “La Libia è diventata un covo di estremisti e milizie e non si può permettere che dal territorio libico vengano lanciate operazioni terroristiche contro l'Egitto” ha detto s fine maggio il generale al-Sisi che gode di ampi e crescenti consensi in Libia ed è indicato come un “esempio” dallo stesso Haftar. All’emittente al-Arabya  il presidente egiziano ha affermato che “la formula per riportare la stabilità in Libia è una roadmap che sia espressione della volontà del popolo libico e non delle milizie”.

La valutazione di al-Sisi che gli ultimi sviluppi “porteranno a un collasso dello Stato” sembra rafforzare la possibilità di un intervento militare egiziano in Cirenaica con un’operazione che potrebbe venire finanziata dai sauditi.  Più sfumata la posizione dell’Algeria dove il premier Abdel Malik Sellal ha escluso un intervento militare in Libia. Parlando al quotidiano el-Khabar, il primo ministro  ha definito “false le notizie di una nostra partecipazione a una missione degli Stati Uniti e della Francia contro le basi dei terroristi nel sud della Libia” aggiungendo che c’è chi ci vuole spingere verso una missione all'estero ma nessuno può decidere al posto nostro". 

Da mesi circolano indiscrezioni circa incursioni di forze speciali statunitensi e francesi contro terroristi e trafficanti di armi nella regione meridionale libica del Fezzan ma secondo diverse fonti anche le truppe di Algeri avrebbero effettuato alcuni raids contro i campi di al-Qaeda nel Maghreb Islamico situati nel deserto libico da dove sono partite diverse incursioni in territorio algerino. 

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