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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2014 alle ore 11:22.
L'ultima modifica è del 10 giugno 2014 alle ore 11:57.
A pochi giorni dal calcio di inizio una sola via è percorribile per i verdeoro: vincere bailando futbol. Neymar è la star assoluta, Hulk il suo fido scudiero. E poi Willian e Oscar a fare da contorno. E in difesa l'accoppiata Thiago Silva-David Luiz. E chi li ferma?
La pressione sulle spalle è una pessima compagna e come se non bastasse arrivano le dichiarazioni del presidente della Federazione brasialiana, Josè Maria Marin, che tanto per mettere più tranquilli i giocatori ricorda: «Il Brasile andrà all'inferno se non vince il Mondiale». Appunto.
La verità è che la squadra imbattibile non esiste. I brasiliani partiranno a mille, spinti da un intero Paese e costretti a dimostrare di dominare gli avversari, non solo di batterli. Lo faranno già a partire dal primo gironcino, esaurendo energie preziose nel torrido clima del loro Paese. Essere nati lì non è un vantaggio, visto che tutti si sono ormai abituati ai climi più freddi della vecchia Europa. Una volta lo disse anche il grande Falcao: «Dopo qualche anno trascorso in Italia giocare in Brasile mi dava la sensazione di essere in una sauna».
Neymar è la stella assoluta e inevitabilmente verrà isolato dai compagni, che gli gireranno al largo per dargli la possibilità di giocare uno contro uno, di sfruttare gli spazi che si verranno a creare. Cosa succederà se anche Neymar, come è capitato a Zico, troverà un Claudio Gentile capace di toglierli anche lo spazio di un respiro?
I difensori del Brasile sono tra i più forti del mondo: Thiago Silva, a mio avviso e non solo, il più forte in assoluto. Ma vanno in affanno quando vengono attaccati e pressati, cedono ogni tanto alla tentazione di essere troppo perfetti anche quando dovrebbero lanciare il pallone in tribuna: una bestemmia, per un brasiliano, per una questione genetica. Il loro progenitore è Domingos, la Perla Nera, che mancò un solo intervento contro Silvio Piola: quello decisivo. La linea di discendenza prosegue con Leandro, Junior e Cerezo, che nel 1982 furono sorpresi nel vedere Paolo Rossi infilare per ben tre volte la palla in gol.
Per tutti questi motivi il Brasile può perdere il mondiale: se lasciata libera di giocare è una squadra fortissima, se attaccata va in affanno. La pressione sui giocatori sarà enorme, superiore a quella provata da qualsiasi altro brasiliano nella storia: nel 1950 c'era l'obbligo di vincere, adesso si aggiunge l'obbligo della vendetta. Neymar è la stella, ma è un ruolo che nel Barcellona ha imparato a lasciare a Messi. La necessità di disintegrare gli avversari, per accontentare la Torcida, Pelé e il presidente Marin farà bruciare energie preziose fin dalla prima fase, quando invece sarebbe meglio conservarle per la seconda metà del torneo.
Il Brasile intero è già pronto a festeggiare, ma al Mondiale c'è una sola certezza: nulla è certo. Mai.
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