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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2014 alle ore 09:24.
L'ultima modifica è del 10 giugno 2014 alle ore 12:01.

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L'ex presidente del Cvn mette anche a verbale che fu il ministro a metterlo in contatto con Milanese e che Meneguzzo gli riferì che il colloquio con Tremonti "era andato bene dal punto di vista formale". Lo stesso Meneguzzo gli spiegò anche il perché bisognava parlare con Milanese: «È la persona che per conto del ministro gestisce queste cose».

Dell'incontro con Tremonti Mazzacurati parla anche in altre due occasioni. La prima è una telefonata con Meneguzzo intercettata il 28 maggio del 2010. «È una cosa nuova perché... - riferisce - io ho anche la sensazione, adesso, da non dire a nessuno, può darsi che non sia...che quel giorno del mio colloquio con il ministro, io ho...detto esplicitamente che c'erano parecchi di questi lavori finanziati che non partivano...che erano in ritardo di tra anni». Parole che ribadisce nell'interrogatorio del 9 ottobre. «Gli ho fatto presente - dice - la necessità che il ritmo dei finanziamenti stesse su un certo livello, perché questo altrimenti avrebbe comportato un problema per le opere». Il presidente del Cvn, almeno nelle parti degli interrogatori non coperte da omissis, non dice mai che i 500mila euro consegnati a Milanese fossero per Tremonti. Cosa che invece fa Claudia Minutullo, ex segretaria di Galan, facendo anche altri nomi che sono restano al momento coperti. Il 14 giugno scorso mette infatti a verbale: «Tra i destinatari delle somme raccolte dal Mazzacurati vi erano...(omissis)...e Marco Milanese, uomo di fiducia del ministro Tremonti. A quest'ultimo era destinata la somma di 500mila euro che l'ingegner Neri conservava nel suo ufficio al momento dell'ispezione effettuata dalla Guardia di Finanza al Consorzio Venezia Nuova»". E ancora: «Mi raccontarono: pensa che c'era neri che aveva nel cassetto 500mila euro da consegnare a Milanese per Tremonti».

Nelle carte c'è anche una telefonata tra Milanese e Mazzacurati del 29 aprile 2010, lo stesso giorno in cui il presidente del Cvn incontra Gianni Letta a palazzo Chigi, in cui il primo invita il secondo a passare al ministero. «Ma può venire adesso? - chiede Milanese - io tra 5 minuti sono al ministero, la aspetto lì, va bene?». Incontro che va bene stando a quanto riferisce Meneguzzo a Mazzacurati: «Ho sentito il nostro amico, mi pare che l'incontro sia stato utile».

La replica di Gianni Letta
«Non è la prima volta - afferma Gianni Letta in riferimento a quanto pubblicato da organi di stampa sulle indagini per la vicenda Mose - che il mio nome viene evocato o citato in una delle tante inchieste che riempiono le cronache di questi mesi. Ed è ovvio che lo sia, perché negli anni di Governo, mi sono occupato di tante vicende, certo di tutte le più importanti, ma solo per dovere di ufficio e per le responsabilità connesse alla funzione ed al ruolo».

E aggiunge: «Ci vuole proprio molta fantasia per trasformare un normale e doveroso "contatto istituzionale" in una richiesta o, peggio, in un versamento, e inventare così una "favola" come quella attribuita alla Signora Minutillo. E non basta che lo stesso Baita in qualche modo precisi o smentisca, sia pure con fatica: meglio raccontarla quella "favola". Ma come si fa a smentire una favola? Basta dire che non c'è nulla di vero? E che è tutta una fandonia? Di certo, c'è solo che, nella realtà, non esistono né richieste né versamenti. Non sono mai esistiti, mai pensati e neppure immaginati. Per fortuna non sono io a doverlo dire, dal momento che prima di me, l'ha scritto con chiarezza il GIP di Venezia».

«A pagina 499 la famosa Ordinanza sul Mose - spiega Letta - riconosce esplicitamente che quei contatti sono "del tutto privi di rilievo penale, non risultando alcun tipo di richiesta, ma risultando esclusivamente un interessamento rispetto ad un importante opera quale il MOSE, rientrante nella fisiologia dei rapporti politico-istituzionali". Peccato che qualche giornale si sia fermato alla prima stazione e non sia arrivato al capolinea dell'Ordinanza. L'avessero fatto, avrebbero dovuto rinunciare al gioco perverso della insinuazione maliziosa».

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