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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2014 alle ore 07:54.
L'ultima modifica è del 20 luglio 2014 alle ore 17:27.

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L'unica incertezza dopo il via libera di Recep Tayyip Erdogan, attuale premier del partito islamico moderato Akp, a candidarsi come primo presidente eletto a suffragio universale in Turchia è se vincerà al primo o al secondo turno nel voto di agosto. Secondo quanto evidenziano ben quattro sondaggi pubblicati ieri dai media turchi, il premier sarebbe destinato a vincere già al primo turno. Insomma non c'è partita. Questa è l'unica incertezza di un voto che sancirà un decennio di dominio incontrastato sulla politica turca.

Sessant'anni, Erdogan dirige la Turchia da 11 anni. Se vincerà - come tutti i sondaggi lasciano prevedere, sulla scia del successo elettorale dell'Akp alle legislative di giugno - sarà eletto per 5 anni, diventando il leader turco più a lungo in sella dai tempi del fondatore della Repubblica, Mustafa Kemal Ataturk.

I suoi avversari
Il diplomatico Ekmeleddin Ihsanoglu, ex presidente dell'Organizzazione della conferenza islamica, è l'oscuro candidato alle presidenziali dei due principali partiti di oppisizione, il Partito popolare repubblicano (Chp) e il Partito del Movimento nazionalista (Mhp). Un signor nessuno, lo definisce la stampa locale. Selahattin Demirtas, deputato e attivista per i diritti umani, è invece il candidato di bandiera del Partito democratico dei popoli (Hdp).

Insomma non c'è storia.
Erdogan - molto popolare, nonostante gli scandali da cui però lui si è sempre difeso chiamando in causa «traditori e terroristi» - è il superfavorito. Se eletto, rafforzerà ulteriormente il suo potere, a coronamento di 11 anni come premier che lo hanno visto mettere in un angolo la magistratura laica, l'amministrazione civile e il potente esercito, il custode della laicità voluta da Mustafà Kemal Ataturk, il fondatore della Turchia moderna.

Una democrazia fragile
Oggi non si parla più di "agenda islamica segreta", visto che l'intento di rendere islamica la società è palese, né della volontà di mettere all'angolo l'esercito. Tutti obiettivi già raggiunti e già archiviati. Oggi si parla solo se la fragile democrazia turca reggerà l'urto di una svolta autoritaria che sta penetrando in ogni ganglio della società turca. E se questa svolta spaventerà gli investitori internazionali senza i quali il deficit delle partite correnti turche esploderà. Sarà per l'eredità ottomana sarà perchè siamo per tre quarti in Asia minore ma ai turchi piace l'uomo forte al comando, un uomo che incarni il sultanato in chiave moderna, che rappresenti l'unità dello stato senza troppi pesi e contrappesi tipici delle democrazie liberali. Se si vince alle elezioni questo basta a dare legittimità al potere esecutivo nei confronti dei diritti delle eventuali minoranze di Gezi Park, di poteri separati (come la magistratura inquirente) e di tutti coloro che non si riconoscono nella politica del governo. Vedi le decine di giornalisti in carcere in Turchia.

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