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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2014 alle ore 21:47.

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Grigor Dimitrov (s) e Andy Murray (Ap/LaPresse)Grigor Dimitrov (s) e Andy Murray (Ap/LaPresse)

WIMBLEDON - Dacci oggi la nostra sorpresa quotidiana. Dopo l'eliminazione di Rafael Nadal, nei quarti di finale di Wimbledon è stata la volta del campione uscente Andy Murray, spazzato via in tre set dal bulgaro Grigor Dimitrov.

In realtà, per chi abbia prestato attenzione, la vittoria di Dimitrov, che si porta appresso le due etichette, entrambe ingombranti, di Baby Federer e di Mister Sharapova, non dovrebbe essere del tutto sorprendente. Ha vinto il torneo di "riscaldamento" del Queen's, vera patria del tennis sull'erba, e nel 2014 sta andando alla grande. Murray è partito male, perdendo il primo set 1-6. «Questo gli ha dato fiducia», ammetterà poi. Non che il bulgaro ne avesse bisogno, dopo le brillanti prestazioni dei turni precedenti, ma certo nei tornei del Grande Slam finora non aveva mai fatto moltissima strada.

Quando Murray è andato sotto anche al tie break del secondo set, nel quale Dimitrov – che Serena ha bollato come «l'uomo dal cuore nero», dopo che l'ha lasciata per Maria Sharapova – ha giocato stupendamente gli ultimi tre punti, l'esito del match ha cominciato ad avere un'aria di ineluttabilità anche per la folla del Centre Court ovviamente schierata compatta per il giocatore britannico. Il terzo set è scivolato via senza scossoni, chiuso da Dimitrov 6-2 in 35 minuti.

Qualcuno in tribuna ha cominciato a scherzare se la Gran Bretagna dovrà aspettare 77 anni, quanti ce ne sono voluti fra la vittoria di Fred Perry nel 1936 e quella di Murray nel 2013, per vedere sventolare di nuovo la Union Jack. Sempre ammesso che ci sia ancora l'Unione, visto che a settembre la Scozia, la terra nativa di Murray, voterà sulla secessione dal resto del Regno Unito. Il tennista non è sembrato voler indulgere all'indipendentismo, dato cha a fine match ha fatto il doveroso inchino (e anzi, lo ha ricordato anche a Dimitrov) al Royal Box, dove si erano scomodati per venirlo a vedere niente meno che il principe William e la bella Kate. Certo, non gli hanno portato una gran fortuna.

Dimitrov dovrà vedersela ora in semifinale con Novak Djokovic, numero 2 del mondo e qui testa di serie numero 1. Djoko ha giocato un match strano contro il croato Marin Cilic: vinta la prima partita facilmente, ha perso le due successive, pattinando ripetutamente sull'erba. Il rischio di due ribaltamenti del pronostico in contemporanea, sul centrale e sul campo numero 1, è apparso a un certo punto quanto mai reale. Poi il serbo si è rimesso in sesto e ha chiuso in fondo senza eccessivi patemi, anche se gli ci sono volute tre ore e un quarto.

Sul Centre Court intanto il pubblico, perso un beniamino ne ha trovato un altro, Roger Federer, che per la verità a Wimbledon è sempre stato più che di casa. La prima volta ha vinto qui nel 2003, per poi ripetersi sei volte, l'ultima due anni fa. La folla di Wimbledon lo adora. Con il suo connazionale Stan Wawrinka, che non sembra riuscire a scrollarsi di dosso la sindrone del fratello minore, anche ora che ha vinto uno Slam in Australia e ha superato Federer nel ranking, hanno dato vita all'incontro stilisticamente più bello. Un piacere per gli occhi, a tratti così plastico da sembrare un'esibizione, come osserva il mio vicino in tribuna stampa, lo «scrittore prestato al tennis» Gianni Clerici, mai a corto di immagini. Primo set a Wawrinka, poi, come nel match di Murray, il tie break del secondo ha dato la svolta. E a Federer è bastato poi un break in ciascuno dei due set successivi. Se la vedrà ora con Milos Raonic, che ha vinto in quattro set il derby dei bombardieri contro Nick Kyrgios, conquistatore martedì di Rafa Nadal, ma forse senza le energie, oltre che la maturità, per ripetersi a ventiquattr'ore di distanza.

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