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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2014 alle ore 08:14.

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Ancora un colpo di scena nell'inchiesta veneziana sul Mose. L'ex deputato Pdl Marco Milanese è stato arrestato ieri a Roma - un mese dopo la prima ondata di arresti - per rischio di reiterazione del reato. Il gip Alberto Scaramuzza ha deciso di mettere in atto la custodia cautelare in carcere, dopo aver revocato, lo scorso 31 maggio, la prima richiesta avanzata dai pm Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini. Milanese è stato portato nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Ora la palla passa alla procura di Milano, per competenza territoriale, visto che la presunta tangente intascata da Milanese sarebbe stata pagata lì. Entro 20 giorni il gip di Milano dovrà quindi rinnovare la decisione del collega veneziano.
Il nome di Milanese, ex consigliere politico dell'ex ministro Giulio Tremonti, ricorre spesso nelle carte delle indagini: per lui l'accusa è di corruzione, avendo intascato, secondo la procura, una tangente da 500mila euro (su cui la Gdf ha emesso un decreto di sequestro)per "facilitare" a Roma lo sblocco dei fondi Cipe indirizzati a Venezia, finalizzati a realizzare le dighe ma anche, secondo la ricostruzione degli inquirenti, ad alimentare un sistema di fatture gonfiate, retrocessioni di denaro attraverso fondi neri, pagamenti di mazzette e finanziamenti illeciti ai politici. I pm hanno ricostruito accumuli di denaro per 40 milioni, nascosti in gran parte a San Marino e in Svizzera.
Milanese sarebbe stato un ingranaggio fondamentale del "sistema Mose". Secondo l'accusa, se da una parte i vertici del Consorzio Venezia Nuova cercavano contatti con il potere locale, il cui massimo rappresentante era l'ex governatore veneto Giancarlo Galan (insieme al suo assessore alle Infrastrutture Renato Chisso), dall'altra tentavano di muoversi anche sul governo centrale. Il Mose, inoltre, aveva (ed ha) dalla sua la "legge obiettivo", che permetteva al Cipe di versare finanziamenti senza passare dal consenso parlamentare. Bastava dunque che "qualcuno" si occupasse di velocizzare le procedure del comitato interministeriale: proprio a questo sarebbe servito l'intervento (millantato o reale) di Milanese, nei confronti dell'ex ministro alle Finanze Tremonti.
La tangente all'ex deputato sarebbe stata indirettamente versata dall'ex presidente del Cvn, Giuseppe Mazzacurati. Il contatto tra i due sarebbe stato creato da Roberto Meneguzzo, ad della finanziaria Palladio. Il nome di Milanese ricorre in vari interrogatori. Sarebbe stato tirato in ballo da Mazzacurati, dal consigliere del Cvn Pio Savioli e dall'ex dg dell'azienda edile Mantovani Piergiorgio Baita (che ha patteggiato). Mazzacurati il 30 luglio 2013 parla anche di un suo incontro con Tremonti stesso, dopo le intercessioni di Meneguzzo e Milanese (oltre che di incontri con Gianni Letta e Silvio Berlusconi).
Nella richiesta dei pm si legge che «Meneguzzo, a conoscenza dell'illecita finalità perseguita da Mazzacurati, lo metteva in contatto con Milanese e garantiva collegamenti dell'illecita trattativa». Inoltre «Meneguzzo corrispondeva a Milanese, quale consigliere politico di Tremonti, al fine di influire sulla concessione dei finanziamenti del Mose e in particolare nel far inserire tra gli stanziamenti inclusi nella delibera Cipe n. 31/2010 e nei decreti collegati anche la somma relativa ai lavori gestiti dal Consorzio Venezia Nuova, inizialmente esclusa dal ministro, in violazione evidente dei principi di imparzialità e indipendenza, la somma di 500mila euro che veniva consegnata personalmente da Mazzacurati». Il reato sarebbe dunque stato commesso a Milano, ed è qui che sono stati trasferiti i fascicoli per competenza territoriale. La prossima settimana prenderà dunque il via l'inchiesta della Procura di Milano su Milanese, su Meneguzzo e anche sull'ex generale della Gdf Emilio Spaziante, coinvolto nell'inchiesta sul Mose per corruzione (avrebbe omesso i controlli a fronte di tangenti). Il legale di Milanese, Bruno Larosa, un mese fa aveva dichiarato la sua estraneità ai fatti.
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