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Questo articolo è stato pubblicato il 07 luglio 2014 alle ore 09:09.

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Sono riuscite a scappare e a rientrare nelle rispettive case 63 donne e ragazze che erano state rapite il 24 giugno scorso da miliziani jihadisti di Boko Haram a Kummabza, villaggio nel distretto di Damboa dello Stato federato di Borno, Nigeria nord-orientale: lo ha riferito un portavoce dei vigilanti volontari che collaborano contro la setta ultra-radicale islamica con le forze di sicurezza governative, fonti delle quali hanno poi confermato in via riservata la fuga di massa.

«Hanno compiuto una mossa tanto coraggiosa quando i loro sequestratori si sono allontanati per un'operazione militare», ha spiegato il vigilante, Abbas Gava. Dovrebbe trattarsi dell'attacco sferrato l'altroieri dai guerriglieri a una caserma e a un commissariato nel capoluogo distrettuale, Damboa: nella battaglia che ne seguì persero la vita 53 assalitori e sei soldati.

Restano però ancora prigioniere 219 delle 276 studentesse catturate da un commando di Boko Haram nella notte fra il 14 e il 15 aprile a Chibok, sempre nello Stato di Borno. Soltanto 57 loro compagne nel frattempo sono potute fuggire. Ieri gli attivisti del gruppo "Bring Back Our Girls" avevano cercato di marciare sul Palazzo Presidenziale nella capitale Abuja per reclamare dal governo maggiore impegno per liberare le giovani tenute in ostaggio, che i rapitori intenderebbero vendere al mercato come schiave. «Sono 83 giorni che le ragazze sono state catturate», ha spiegato una rappresentante dei manifestanti, Aisha Yesufu, «ed è da 68 che ci stiamo dando da fare quotidianamente, ma nessuno finora ci ha davvero prestato ascolto». Gli agenti di guardia hanno però invitato i dimostranti a tornare indietro, e la protesta si è conclusa senza particolari incidenti.

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