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Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2014 alle ore 06:40.
L'ultima modifica è del 08 luglio 2014 alle ore 07:45.

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Come era prevedibile, il dialogo fra Renzi e i Cinque Stelle sulle riforme e in particolare sulla legge elettorale si è arenato dopo pochi metri. Non c'era vera logica in questo giro di valzer, se non un interesse politico. Quello di Renzi, desideroso di avviare un'"operazione simpatia" verso l'elettorato che ancora appoggia il movimento populista. E quello di Grillo che anela a entrare nel gioco politico: ma ovviamente l'operazione non è semplice e i Cinque Stelle hanno ancora parecchio da imparare al tavolo delle manovre.

In sostanza la vicenda si chiude con un certo successo del presidente del Consiglio, più abile in questo genere di ping-pong. Ma Grillo, pur muovendosi in mezzo alle solite contraddizioni, è in grado di creare più di un disturbo quando l'Italicum tornerà in Parlamento, al Senato, e lì catalizzerà quei malumori trasversali che già si erano manifestati virulenti a Montecitorio.
È del tutto evidente, infatti, che almeno su un punto il capo del M5S ha visto giusto: il vero nodo della discordia è e resta la riforma elettorale, persino più della discussione su come cambiare il Senato. Per la semplice ragione che il modello elettorale immaginato è una legge di "sistema" capace di modellare l'assetto di potere "renziano" per molti anni a venire. Peraltro tutto si tiene. Senza il "sì" alla trasformazione del Senato, con l'abolizione del bicameralismo, la legge elettorale non riuscirebbe a vedere mai la luce. Se mai i dissidenti trasversali (Pd, Forza Italia, eccetera) dovessero riuscire ad affossare la riforma di Palazzo Madama, a maggior ragione avrebbero la forza e la determinazione per impedire l'Italicum. Al contrario, l'approvazione entro pochi giorni della riforma costituzionale - il cui iter sarà in ogni caso ancora lungo - renderebbe più plausibile la legge elettorale, peraltro già votata alla Camera.

L'argomento è ostico e di sicuro pochi si appassionano a questo nesso tra riforme così lontane dal vivere quotidiano degli italiani. Eppure ci stiamo avvicinando a uno degli snodi cruciali della legislatura. Non a caso ieri il capo dello Stato è intervenuto per offrire ancora una volta il suo sostegno al progetto riformatore: è urgente, sono parole di Napolitano, superare il bicameralismo per accelerare il processo legislativo e ritrovare efficienza. Come dire che il presidente della Repubblica manifesta il suo autorevole appoggio a Renzi proprio nelle ore in cui si sta decidendo il braccio di ferro all'interno dei partiti, in particolare nel Pd.
Gli oppositori sono ancora abbastanza numerosi per impedire che la legge costituzionale sia approvata con la maggioranza dei due terzi, il che renderebbe inevitabile il referendum confermativo. Tempi più diluiti e per il premier una vittoria solo a metà. Questo, come si è detto, avrebbe conseguenze sul cammino del cosiddetto Italicum, l'obiettivo a cui Renzi davvero non può rinunciare. In altri termini, le carte sono in tavola. Purchè non si dimentichi che le vere riforme a cui l'Europa ci sollecita non riguardano i meccanismi parlamentari. Esse riguardano il terreno dell'economia, il debito pubblico, il mercato del lavoro. Uno scenario che ci è stato rammentato a chiare lettere anche nelle ultime ore, nel caso in cui il governo Renzi fosse troppo concentrato sul Senato e sulla legge elettorale: la flessibilità si ottiene solo dopo aver fatto le riforme. Quelle economiche.

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