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Questo articolo è stato pubblicato il 09 luglio 2014 alle ore 06:38.

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ROMA
Non basta avere un sistema previdenziale finanziariamente sostenibile. Bisogna assicurarsi anche che sia in grado di garantire assegni adeguati a chi è in pensione oggi e a chi lo sarà domani. E l'unica garanzia per centrare questi obiettivi la possono dare solo una crescita dell'economia duratura e un mercato del lavoro che funzioni.
A costo di sfidare l'ovvietà il commissario straordinario del l'Inps, Vittorio Conti, ieri ha scelto di affrontare il nodo cruciale del nostro modello contributivo nella Relazione annuale presentata a Montecitorio davanti al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e la vicepresidente della Camera, Marina Sereni. Conti ha offerto esempi lineari, di quelli destinati a fissarsi nella mente di tutti: «Il passaggio da una crescita di lungo periodo dello 0,5% ad un tasso dell'1,5% potrebbe comportare, per un neoassunto, un aumento della pensione attesa mediamente più elevata del 20%». E ancora: «Cinque anni di disoccupazione nei primi 10 anni di percorso lavorativo possono comportare due anni di lavoro in più, a fine carriera, per recuperare un tasso di trasformazione (il rapporto tra la pensione e l'ultimo stipendio, ndr) associato ad una vita lavorativa continua e regolare fin dall'inizio».
Da un modello pensionistico finanziato a ripartizione non si torna indietro, è stato il ragionamento di Conti. E se le ultime grandi riforme lo hanno messo in sicurezza (la spesa pensionistica sul Pil dell'Italia scenderà dello 0,9% da qui al 2060 mentre mentre nell'Ue 27 salirà di 2 punti) questo non significa che il percorso sia stato completato. L'impalcatura va sorretta anno dopo anno: i cittadini che possono devono preoccuparsi dell'adeguatezza delle loro pensioni future accedendo alla previdenza integrativa, mentre i policy maker devono attivare tutte le leve indicate nel Libro bianco della Commissione Ue del 2012: politiche per l'invecchiamento attivo, attivazione dei sistemi integrativi, pensioni complementari compatibili con la mobilità professionale e territoriale, vita lavorativa e rendite correlate alla speranza di vita.
Conti ha insistito sulla necessità di rafforzare le adesioni alla previdenza complementare e, nel contempo, ha auspicato una maggiore concentrazione dei fondi, oggi troppo numerosi e frammentati. Se un lavoratore - è stato l'altro esempio proposto - destinasse a forme di previdenza complementare il Tfr integrato fino ad una contribuzione del 10,5% (di cui il 3,6% a carico del lavoratore e del datore di lavoro), il tasso di trasformazione lordo equivalente, per effetto della rendita aggiuntiva, potrebbe migliorare dai 14 ai 19 punti, a fronte di rendimenti attesi lordi rispettivamente nell'ordine del 2-4%. Nessun risultato è scontato – ha ammonito il commissario – compresi i risparmi che l'ultima riforma garantisce sulla carta e che potrebbero essere utilizzati all'interno del sistema di welfare. L'anno scorso le nuove pensioni di anzianità sono calate del 32% e quelle di vecchiaia del 57%, nel settore privato. E non è andata tanto diversamente per gli impiegati pubblici, con un dimezzamento dei nuovi assegni. «Solo via via che matureranno le condizioni – ha detto Conti – sarà possibile verificare gli ammontari disponibili». Giusto ragionare di maggiori flessibilità in uscita e salvaguardie per gli "esodati", insomma, ma tenendo conto della sostenibilità complessiva del sistema.
L'Inps, in questo percorso, è a disposizione del Paese come l'infrastruttura del welfare. Pronta a far decollare la famosa "busta arancione", ovvero quel sistema informativo sulle pensioni future di cui si parla da oltre un quindicennio. Pronta a metter in campo una "piattaforma nazionale del welfare", in cui l'Istituto funga da provider che fornisce a tutti gli attori della filiera (Stato, Regioni, Comuni, centri per l'impiego) piattaforme e servizi in ottica di sussidiarietà.
Dopo la misura varata con la legge di stabilità per sanare le passività ereditate dall'Inpdap, quest'anno l'Inps prevede un attivo patrimoniale di 21 miliardi a fine 2014; migliora l'equilibrio gestionale, con un disavanzo che scende dai 12 miliardi del 2012 ai 7,9 del '13; e qui ancora pesa lo squilibrio dell'ex cassa dei dipendenti degli enti locali «da affrontare in maniera strutturale dal legislatore» ha chiesto il commissario, che poi ha evocato il nodo governance: va sciolto per definire compiti e responsabilità degli organi di gestione e di quelli d'indirizzo. Indicazione quanto mai tempestiva, visto che il mandato di Conti scade a settembre mentre quello del direttore generale, Mauro Nori, a dicembre. Un passaggio che coinciderà con le verifiche sul piano industriale in pieno corso e che ipotizza, tra l'altro, il reclutamento di 2.500 nuovi addetti nel prossimo triennio (oggi Inps è sotto i 30mila dipendenti, gli stessi che aveva nel 2008 prima dell'accorpamento di Inpdap ed Enpals).
Il ministro Poletti ha colto tutte le sollecitazioni, a partire da quella sulla "busta arancione": «Una sperimentazione corposa deve partire entro l'anno sulla base del l'istruttoria già fatta». I dati Inps sulla previdenza, ha osservato il ministro, sono «rassicuranti e vanno nella direzione di un positivo consolidamento futuro». Quello che serve ora, anche in vista del l'attuazione della delega lavoro, è «una banca dati unica e unita per le politiche sociali, del lavoro, previdenziali e assistenziali» ha detto Poletti, che sulla governance ha assicurato la massima attenzione del Governo: «Intendiamo procedere e valutare con le parti sociali una serie di decisioni per dare all'istituto le condizioni di massima operatività».

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