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Questo articolo è stato pubblicato il 12 luglio 2014 alle ore 14:47.
L'ultima modifica è del 13 luglio 2014 alle ore 17:12.

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Non sono ancora state approvate dall'Aula del Senato, ma già cominciano ad essere scalzate dalla legge elettorale nel dibattito politico. Con il leader Ncd Angelino Alfano che promette «battaglia sulle preferenze». È il segnale di come le riforme costituzionali, nonostante i dissidenti dei vari fronti continuino a far sentire la propria voce, non destino più nel governo Renzi grandi timori dopo la "quadra" trovata venerdì in commissione affari costituzionali. Anche perché la fronda dei dissidenti favorevoli al mantenimento di un Senato elettivo (sulla carta 22 in Fi e 16 nel Pd) non sta crescendo, anzi rischia di ridimensionarsi.

Ma esiste un pressing trasversale per modificare in Aula il testo uscito dalla Commissione anche su altri quattro fronti: eliminazione del voto del Senato sulla legge di stabilità, riduzione del numero deputati, platea più estesa (allargandola ai 73 europarlamentari) per i «grandi elettori» del Capo dello Stato, immunità parlamentare depotenziata (limitata all'insindacabilità delle opinioni espresse) sia per i deputati che per i senatori. E intanto si preannuncia un blitz di Beppe Grillo a Roma, la settimana prossima, per seguire da vicino la discussione sulle riforme. Il leader M5s sarà martedì in piazza Madama a Roma per guidare un sit in di protesta contro il ddl Boschi sulle riforme costituzionali.

I malumori in Forza Italia
Augusto Minzolini e Cinzia Bonfrisco, i promotori del documento dei 22 senatori dissidenti di Fi (in realtà solo 17 sono di Fi, e 5 sono del gruppo alleato di Gal) hanno rilanciato la richiesta di un Senato a elezione diretta, pur ribadendo lealtà a Berlusconi. Poiché è difficile che l'ex Cavaliere torni indietro rispetto all'accordo con Renzi su un Senato non elettivo, occorre vedere quanti dei 22 sono disposti a rompere con il loro leader. E un richiamo all'ordine definitivo è atteso martedì, giorno dell'incontro dei gruppi parlamentari con il leader di Forza Italia. In ogni caso i restanti 42 senatori di Fi garantiscono l'approvazione delle riforme.

La fronda nel Pd
Sul fronte Pd, martedì mattina, prima che mercoledì comincino le votazioni, si riuniranno i senatori e voteranno la posizione ufficiale da tenere in Aula. La decisione metterà alle strette i 16 dissidenti guidati da Vannino Chiti che avranno difficoltà a richiamarsi alla libertà di coscienza, visto che il regolamento del gruppo la concede solo per i temi etici e i principi fondamentali della prima parte della Costituzione. Quanti romperanno e taglieranno i ponti dietro le spalle? Sono in molti a scommettere che alla fine i no dei senatori democratici scenderanno a 6 o 7.

M5s in piazza Madama a Roma
Intanto martedì è prevista una manifestazione in piazza Madama a Roma contro il ddl Boschi sulle riforme costituzionali. Ci sarà il vicepresidente della Camera Luigi Di maio. Non ci sarà Beppe Grillo che sul blog fa sapere che non è prevista la sua partecipazione «a manifestazioni di protesta la prossima settimana». Il M5s si prepara a dare battaglia anche nell'emiciclo di Palazzo Madama. Elezione diretta dei nuovi senatori e niente immunità per i parlamentari, sono le parole d'ordine dei pentastellati. Di Maio parla di «linea autoritaria» del Pd e di riforma che fa paura perché «il Senato non è elettivo e quindi i cittadini non possono scegliere».

La battaglia sull'Italicum
Ma se la riforma del Senato e del Titolo V è relativamente blindata (il governo punta a 190-200 sì), le trattative in corso sull'Italicum (la nuova legge elettorale approvata alla Camera lo scorso 12 marzo e non ancora incardinata in commissione al Senato) confermano che la vera "fronda" che può minare il patto del Nazareno si concentrerà lì. Nel mirino degli alfaniani sono le soglie di sbarramento: 4,5% per i partiti coalizzati ma 8% per i non coalizzati. La richiesta, che sembra sia stata già accettata dal Pd e digerita anche se di malavoglia da Berlusconi, è quella di semplificare le soglie uniformandole tutte al 4 o 4,5%. Altra modifica data ormai per scontata dagli sherpa è l'innalzamento della soglia al di sotto della quale scatta il ballottaggio nazionale dal 37 al 40%.

Il nodo preferenze
Ma la battaglia sta per scatenarsi sul nodo delle preferenze: invise a Berlusconi e non amate neanche da Renzi, sono chieste a gran voce dalla minoranza bersanian-cuperliana del Pd, dal Nuovo centrodestra («Daremo battaglia sulle preferenze» ha garantito stasera al Angelino Alfano intervistato dal Tg1), dai centristi della maggioranza e anche dalla Lega Nord. Nonché dal Movimento 5 Stelle, che continua a invocare l'incontro in streaming con il Pd (probabile uno slittamento a dopo il via libera a palazzo Madama della riforma del Senato) e proprio sulle preferenze si appresta a fare la sua battaglia mediatica. In un potenziale schieramento di centrodestra, Fi si trova da sola nel suo "no" alle preferenze mentre tutti, da Lega a Fdi, passando per Ncd le vogliono. Nei prossimi giorni gli alleati, attuali e potenziali, di Renzi e Berlusconi inizieranno il pressing.

Le ipotesi di compromesso
Un compromesso al quale si sta ragionando in queste ore è l'ipotesi di un mix: i capilista avrebbero il seggio assicurato mentre agli elettori sarebbe lasciata la scelta sugli altri. Altra ipotesi, meno gradita da Berlusconi, è la previsione di primarie per legge ma a valere dalla legislatura successiva.


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