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Questo articolo è stato pubblicato il 16 luglio 2014 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 16 luglio 2014 alle ore 11:30.

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Del resto, il Prof. Marmot dell'University College di Londra ha introdotto il rapporto sullo stato di salute europeo all' Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2013 dicendo «Per la salute pubblica la disoccupazione è una bomba ad orologeria armata e pronta ad esplodere».

«Ormai appare chiaro - continua La Bella - quanto il dolore della popolazione sia ampiamente riconosciuto e denunciato, non solo nelle piazze, ma anche all'interno dell'Oms. A questo punto è davvero "curioso" cercare di comprendere quali siano le motivazioni che mantengano i governi, nonostante slogan e demagogia, in un tale protratto immobilismo. Il Prof. Marmot ha concluso rivolgendosi proprio al sistema politico: "i governanti devono fare attenzione all'impatto delle loro politiche sulla vita delle persone ed all'impatto delle disuguaglianze. La disuguaglianza nella salute uccide. È socialmente ingiusta, inutile, evitabile e viola il diritto umano alla salute"».

«La disuguaglianza è intessuta nel nostro tessuto sociale. Più aumenta più cresce lo stress legato al confronto dello status sociale con i nostri simili. La disuguaglianza, genera un male identico a quello di un pugno ricevuto in pancia. Un dolore, le cui cicatrici sono state scoperte dalla professoressa Naomi I. Eisenberger del Dipartimento di Psicologia del Campus di Los Angeles. I circuiti che elaborano il dolore fisico, infatti, sono in parte sovrapposti a quelli che elaborano il dolore sociale. Ancora un'evidenza del fatto che siamo esseri sociali e di quanto il legame con il gruppo sia necessario alla sopravvivenza. L'esclusione sociale è infatti la morte. Le relazioni sociali umane, sono fondamentali per la salute: possono generare benessere e autostima. Possono altresì generare effetti negativi quando disfunzionali. Il desiderio di conquistare uno status economico migliore, ad esempio, può indurre le persone ad associarsi a soggetti indesiderabili o a mantenere relazioni poco soddisfacenti».

Che dire dei Neet, giovani che non cercano lavoro e hanno smesso di studiare con l'obiettivo di formarsi per cercarne uno in futuro? Una sorta di superscoraggiati. «Il fenomeno è davvero preoccupante perchè questi ragazzi si autoescludono dal mercato del lavoro proprio nel momento della loro vita in cui potrebbero produrre di più.

L'impossibilità di progettare un futuro e la mancanza di un lavoro adeguato al percorso di studio ed alle competenze acquisite ha eroso anche la speranza di questi ragazzi. In uno studio europeo condotto dal Prof. Mascherini emerge come la sfiducia, non solo verso le Istituzioni, ma anche vero "il prossimo" (in generale) riguardi gran parte degli intervistati. Come ogni essere umano innanzi ad uno stress che non trova soluzione, anche i giovani Neet vanno in "freezing", cioè in blocco. Esistono almeno tre rischi da non sottovalutare.

Il primo è il futuro peso che questi questi ragazzi avranno per il nostro sistema economico. Il secondo è l'aumento della rabbia che potrebbe portare questi giovani da una posizione di freezing ad una posizione di "attacco" anche molto violenta. L'ultimo rischio è l'aumento della tristezza e della depressione che potrebbe portare i Neet a "fuggire" da questo dolore attraverso comportamenti anticonservativi. Sebbene con forte ritardo alcune soluzioni praticabili potrebbero essere quelle di invogliare e motivare i giovani, con efficaci campagne di comunicazione, verso tutti quei lavori che oggi mantengono posizioni aperte. Collaborazioni reali tra istituzioni e famiglie. Sussidi ed accesso sostenibile ad interventi psicologici. Non si può più attendere».

Si può dire che un disoccupato cronico è potenzialmente un individuo depresso?
«Una persona senza lavoro non è una persona in salute, a prescindere dalla diagnosi - conclude La Bella -. Nel 1997 con la dichiarazione di Jakarta l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito i requisiti essenziali per lo stato di buona salute. Si tratta di casa, istruzione, relazioni sociali e reddito. Tra i determinanti sociali identificati dall'Oms, il ruolo dello Stato socio economico (Sse) è molto importante. Individui con bassi livelli di Sse sono esposti ad un maggior rischio di malattia e morte rispetto a chi gode di una condizione economica più agiata (Alder 1993 e Mackenbach 1997). Anche la depressione non fa eccezione. Bassi livelli di Sse, infatti, si accompagnano alla presenza di molteplici fattori di stress cronico, legati alle difficoltà finanziarie, ad un basso livello di istruzione ed precarietà lavorativa, ad senso di bassa autostima ed un conseguente scarso controllo e ridotte risorse sociali. Recenti dati Istat confermano quanto sostenuto sin ora. Le categorie maggiormente colpite da depressione sono esattamente sovrapponibili con quelle coinvolte dal crollo del pil e dall'aumento della disoccupazione. Ma sicuramente non servono le statistiche per comprendere come disoccupazione, debiti, fallimenti e conflitti familiari spesso conseguenti rendano tristi. Perdere il controllo della propria vita ha un grande impatto nella salute di ciascuno di noi. In sintesi oggi la ricerca ci ha permesso di comprendere che tutti i sistemi che regolano il nostro organismo sono collegati secondo una relazione bidirezionale, in particolare il sistema nervoso centrale e neurovegetativo, il sistema endocrino e il sistema immunitario. Ecco perchè un disturbo psicologico come la depressione si riflette su tutto il nostro organismo. Queste evidenze scientifiche devono condurre il sistema politico ad attivare immediatamente strategie di intervento e prevenzione di salute mentale che siano validate dalla ricerca scientifica. In un'ottica di sanità pubblica, le strategie politiche vanno richiamate con forza per risolvere le avversità sociali ed economiche che tolgono a ciascuno di noi la libertà di poter vivere in salute».

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